Tommy Kuti, artista poliedrico e pioniere dell’Afrobeats in Italia, ha appena pubblicato i nuovi brani “Milano be like” e il nuovissimo “Piazza Napoli”.
Nei suoi testi Tommy Kuti parla dei primi tempi nella City e del grande cambiamento che ha comportato il trasferimento dalla provincia mantovana alla metropoli cosmopolita milanese.
Ma Milano è la città dei contrasti, con ancora tanti pregiudizi e ombre nascoste e anche un luogo dove è difficile capire la differenza tra apparenza e realtà, anche nelle amicizie.
Di recente Tommy Kuti è stato scelto anche per partecipare al nuovo film de Il Milanese Imbruttito “Ricomincio da taaac”, dove interpreta il ruolo di un ingegnere di nome Obi che fa le pulizie.
Abbiamo parlato con lui di queste importanti esperienze lavorative che lo stanno portando a dimostrare quanto sia un artista versatile, ma anche della sua infanzia, della fortuna di aver avuto chi ha creduto in lui e di cosa gli piacerebbe fare per incoraggiare il talento di altri ragazzi, di tutte le estrazioni sociali e provenienze geografiche.
INTERVISTA
Ciao Tommy,
Sei stato tra i primi rapper a fare Afrobeats in italiano e uno dei primi artisti di seconda generazione a firmare un contratto con una major. Sei arrivato in Italia che avevi solo due anni. È stato difficile farti strada in Italia?
L’altro giorno stavo pensando che ora ci sono vari artisti che fanno musica di origine africana, e mi sono chiesto: chi c’era quando io ero piccolo? Non c’era assolutamente nessuno, ed è spaventoso pensare che non ci fosse nessuno che io potessi guardare e che avesse il mio aspetto… Chiaramente i ragazzi di questa generazione, quelli che stanno crescendo ora, hanno diversi modelli ma, quando ero piccolo io, a livello identitario, non c’era nessuno, in Italia, che facesse tv o musica che avesse un aspetto simile al mio.
Per molto tempo la mia ispirazione è stata estera, però aveva i suoi limiti anche quel modello, perché non siamo in America, io vivevo in provincia e le cose erano molto diverse…
Sono contento di essere stato il primo di una serie di artisti che, pian piano, stanno cambiando l’idea di italianità, ma dall’altro lato penso che è stato molto difficile e triste crescere senza qualcuno che ti rappresentasse. Ancora più strano è che non ci facessi affatto caso, era normale; ora sembrerebbe anormale. Fortunatamente la situazione in Italia è cambiata, anche negli ultimi 5 anni, da quando ho firmato per Universal.
Di recente hai pubblicato “Milano Be Like” con la cantante eritrea Sina Tekle, che mette evidenza le contraddizioni della metropoli, con ancora tanti pregiudizi. Ti sei trasferito da Brescia a Milano, ma è così differente vivere nella city?
In realtà non è tanto la differenza tra Brescia e a Milano, quanto la differenza tra la vita che facevo prima, in provincia, e quella che faccio ora a Milano.
Io vengo da un paesino che si chiama Castiglione delle Stiviere, sul Lago di Garda; ho vissuto lì fino al 2014.
Poi sono andato a vivere a Brescia con i miei amici e avevamo una crew, ma la città non l’ho vissuta perché facevamo solo musica, per quasi un anno mi son chiuso in casa. Da lì ho firmato il primo contratto con la Universal e poi mi son trasferito a Milano, come racconto nel nuovo singolo “PIAZZA NAPOLI”.
Siamo arrivati a Milano con tutti i nostri sogni, tutti i nostri obiettivi, ma soprattutto siamo stati proiettati in una vera città, nel senso che il nostro essere così strani e particolari, come ci sentivamo in provincia, a Milano è quasi normale.
La cosa che più mi piace di Milano è il fatto che posso passare inosservato.
Hai da poco pubblicato due nuovi singoli e sei nel cast del nuovo film “Ricomincio da taaac”, hai scritto anche un libro qualche anno fa.
Sei, indubbiamente, un artista poliedrico; quale arte ti piace/ti diverte di più?
Io le vedo tutte connesse. Anche per interpretare Obi sono stato scelto, non perché fossi un attore, ma perché sapevano che avrei dato un valore aggiunto a quel personaggio.
Erano interessati a me, alle mie idee e al discorso che porto avanti con la musica, quindi per me, paradossalmente, non è stato tanto diverso.
Devo però confessare che non c’è nulla che mi soddisfa e che mi regala piacere come stare sul palco e cantare le mie canzoni con un pubblico davanti. Tutte le altre cose sono estensione del mio desiderio primario di comunicare, raccontare, attraverso la musica.
Ho letto che partecipi e crei format per dare risalto alla ricchezza della cultura afro e i talenti afro-italiani. Raccontami meglio…
Sai, c’è chi viene bullizzato e poi diventa bullo a sua volta e chi, invece, reagisce diventando quello che aiuta gli altri, una sorta di paladino della giustizia.
Quando mi sono immerso nella musica non ho mai avuto nessuno che mi portasse a suonare, che fosse presente e mi desse un consiglio utile a migliorare la mia vita da artista.
Sono consapevole che là fuori ci sono un sacco di talenti che hanno solo bisogno di qualcuno che li aiuti, esattamente come ne avrei avuto bisogno io.
Una delle cose che mi piacerebbe fare è essere d’aiuto agli altri dal punto di vista della scrittura dei pezzi, dal lato della produzione, destreggiarsi nel mondo musicale.
Quando io avevo vent’anni è stato il mio amico Mario a spronarmi a pubblicare le mie canzoni. Quando, finalmente, mi sono deciso a farlo, la mia vita è cambiata!
Se non ci fosse stato Mario a dirmi continuamente: “Tommy, devi assolutamente pubblicare la tua musica” non lo avrei fatto; mi ha salvato. E io ora voglio essere Mario per qualcun altro.
Quali sono i tuoi progetti futuri?
Il mio sogno è di avere uno studio di registrazione, un’aula, una stanza polifunzionale in cui tutti i ragazzi, soprattutto quelli che incontrano maggiori difficoltà, riescano a realizzare i propri obiettivi legati sempre alla musica e all’arte; avere una mini azienda di produzione creativa, questo è quello che vorrei fare in futuro.

Per ogni cosa c’è un posto
ma quello della meraviglia
è solo un po’ più nascosto
(Niccolò Fabi)