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Timothy Cavicchini:”Stabile” è metafora della famiglia -INTERVISTA

by Alessia Andreon
Timothy Cavicchini.

 “Stabile” (Matilde Dischi) è il nuovo singolo del rocker veronese di origini mantovane, Timothy Cavicchini.

Un brano autobiografico in cui Timothy individua la stabilità nell’avere solide basi da cui partire e a cui poter tornare; in una parola: la famiglia.

Malgrado abbia partecipato a trasmissioni televisive importanti come The voice of Italy e All together now, Timothy Cavicchini ha saputo tenere i piedi ben saldi per terra e questo si riflette negli oltre duecento live che affronta ogni anno, in cui ha trasformato uno spettacolo prettamente rock in un’ambiente intimo, ricco di dialogo tra lui e il suo pubblico. Questo approccio, sincero e libero da ogni cliché, ha fatto di lui un punto di riferimento per tutti gli amanti del Rock in Italia.

Nell’intervista che segue abbiamo parlato di come le tante strade che ha percorso lo abbiano portato a non allontanarsi mai da ciò che davvero conta nella vita: l’amore per i figli, il lavoro fatto con passione, la costanza di far musica senza scendere a compromessi.

INTERVISTA

Il tuo nuovo singolo si intitola “Stabile”; cosa è per te il concetto di stabilità?

È un concetto a cui si arriva nel tempo, è qualcosa che non si impara sui libri; può essere anche un bisogno, una necessità.

Mi piaceva l’idea di affrontare un concetto in una canzone, una cosa molto originale, che oggi non va di moda.

Non è la classica ballad d’amore, anche perché ho una certa maturità e con le mie canzoni mi piace esplorare degli argomenti interessanti e diversi dal solito.

Con la musica racconto la mia vita, la mia famiglia e le due cose si intersecano inevitabilmente.

In questa prima parte della mia vita è incredibile come per me sia un perno quello che, tendenzialmente, viene considerato un ostacolo.

Il fatto di avere una famiglia, di essere presente, può essere visto come un freno in una carriera musicale o artistica.

Nel mio caso invece, avere una vita normalissima durante la giornata, mi consente di potermi esprimere sul palco, la sera.

Quindi, sì, la famiglia è importantissima per me.

Il videoclip parla del concetto di stabilità utilizzando la metafora di una partita di basket con i tuoi figli. Sapevano che avresti utilizzato le immagini per un video?

È stato tutto molto naturale perché il basket è lo sport di Achille, il mio primogenito, e mi sembrava carino inserire delle immagini familiari, assolutamente amatoriali, girate in vari momenti di vita insieme.

Capisco che non sia automatico fare il collegamento con “Stabile” ma volevamo utilizzare la partita di basket come concetto di famiglia.

Ho utilizzato tutti i video che avevo nel telefono per creare un collage, una sorta di ultima canzone “contenitore” della prima parte della mia carriera; ora ricomincio a fare musica mia.

Mi sembra di aver capito che tua caratteristica è parlare di argomenti molto personali, come in “Due come noi” o “Ti rubo gli occhi”, ma sempre in chiave rock. Da quanto tempo hai questa passione?

Il mio avvicinamento al rock & roll è stato tardivo; suonavo già il pianoforte da qualche anno, poi, per il mio tredicesimo compleanno, mi è stato regalato il cd dei Nirvana MTV Unplugged in New York.

Ricordo perfettamente il momento in cui iniziai ad ascoltarlo, quasi per dedizione nei confronti di chi mi aveva fatto il regalo, e mi trovai completamente rapito.  

Mi innamorai dell’acustico di Kurt Cobain, per poi scoprire i Nirvana, quindi, la mia radice è in chiave acustica. Amo le note lunghe ma sono più attratto da viaggi più rock della melodia.

Le più grandi ballad rock hanno una linea assolutamente melodica e tendente al pop. Oserei dire che il rock è come mettere un bel vestito al pop.

Ho iniziato ad appassionarmi anche alla storia dell’artista… a visualizzarmi, in una visione futurista, in quella storia e da lì ho iniziato ad ascoltare il grunge e poi tutto quello che ad esso si collegava.

Dopo i Nirvana sono arrivati i Pearl Jam, i Soundgarden, Alice in Chains, poi quelli dal glam un po’ più cattivo, come i Guns, i Mötley Crüeru e ha iniziato a piacermi anche qualcosa di più pop come Billy Idol.

Ho cercato di recuperare tutto quello che mi ero perso in due anni in cui ero andato in discoteca anziché ascoltare queste cose ed è anche per questo che, artisticamente, mi sono sentito pronto molto tardi.

Ho partecipato a “The voice of Italy” che avevo già ventotto anni, mentre l’età media di quelli che partecipano ai talent è decisamente più bassa.

Cosa significa per te stare sul palco?

A volte mi metto in discussione: ho 40 anni, ho fatto quello che dovevo fare e per sostenere il rock bisogna continuare a essere credibili.

Penso a uno come Manuel Agnelli che sembra sempre un ragazzino. È super credibile.

È necessaria tanta stabilità e forza per andare avanti.

Io ho una forza interiore che mi manda sempre avanti e mi spinge a non guardarmi indietro e rimpiangere ciò che non è stato.

Siamo circondati da un positivismo immaginario e utopico di gente che nella vita ce l’ha fatta, ma io vorrei sentire, invece, chi non ce l’ha fatta dire come è andato avanti, mi aiuterebbe ancora di più.

Vorrei vedere come si può vivere di musica senza essere nei primi posti in classifica, non andando in tv… Questo per me è fare il musicista.

Finché mi divertirò sul palco, farò questo ma non perché non potrei fare altro.

Hai partecipato sia a “The voice of Italy” che a “All together now”, due esperienze televisive che ti hanno fatto notare anche dal grande pubblico. Come hai affrontato queste esperienze e cosa ti hanno dato?

Avrei voluto fare “The voice” con la stessa consapevolezza che avuto ad “All togheter now”.

Dai 25 ai 27 ero stato io a scegliere di non presentarmi mai ad un talent, perché allora non c’erano tante statistiche di cosa poteva succedere dopo, non volevo utilizzare scorciatoie che non sapevo dove mi avrebbero portato.

“The voice” è stato un test per capire se potevo avere un futuro che non fosse solo a livello amatoriale. Avevo già alle spalle tredici anni di lavoro tra muratore e barman, quindi l’ho affrontato sapendo che, male che andasse, avrei potuto fare un passo indietro e tornare a fare quello che facevo prima. I lavori che ho fatto li amo tutt’ora.

Ho una passione che mi porta a fare chilometri ogni giorno per suonare, dopo aver svolto i miei impegni quotidiani: faccio la vita del musicista/operaio.

Mi hai detto che questa canzone conclude un periodo e ne apre un altro. Cosa c’è in quello che sta arrivando?

C’è tanta energia, la fortuna di essere in salute e molto energico.

Il mese scorso son riuscito a scrivere altre cinque canzoni, di cui, magari, se ne salverà solo una, ma lavorare mi fa venir voglia di scrivere.

A volte manco di consapevolezza, ma non mi aspettavo la stima che sto assorbendo con “Stabile”. Mi sembra ieri che è uscito “Ti rubo gli occhi”.  

Fremo già, perché abbiamo registrato altri due brani in studio, che sono bellissimi; ad uno stiamo riservando anche un trattamento particolare e non vediamo l’ora di farli uscire…Posso dirti che sarà un’attesa breve, non bisognerà aspettare dei mesi.  

Sono contento della squadra con cui lavoro, siamo tutti più o meno coetanei e non abbiamo bisogno di tante spiegazioni quando suoniamo, lo facciamo con cuore e istinto.

Per “Stabile”, che è stata scritta qualche anno fa, è successa una cosa che non mi era mai capitata: abbiamo rivisto il testo in seduta di registrazione. È talmente tutto spontaneo che non ho timore di registrare direttamente, come è successo per questi tre brani.

“Stabile” è la più agressive, è il brano giusto per ricominciare perché entra con le unghie, ma non fanno male.

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