Nel cuore pulsante degli anni ’70, un’epoca di fervente cambiamento sociale e politico, emerge la figura emblematica di Rino Gaetano, simbolo di una nuova ondata di cantautori italiani che hanno dato voce alle tensioni e ai sogni delle giovani generazioni.
È un decennio segnato da rivendicazioni sociali, da stragi di matrice terroristica, da una profonda tensione politica ma anche da tanta musica: nel nostro Paese, infatti, si apre la stagione dei “cantautori”, artisti che con coraggio parlano alle giovani generazioni denunciando le contraddizioni e le ipocrisie della società di quell’epoca.
In questo contesto si inserisce alla perfezione un personaggio straordinario come Salvatore Antonio Gaetano, detto “Rino”: nato a Crotone, in Calabria, il 29 Ottobre 1950, si trasferisce con la sua famiglia nel 1960 a Roma, città dove muoverà i suoi primi passi nel mondo della musica. I primi pezzi li propose a partire dal 1969 al famoso “Folkstudio”, dove conobbe Venditti e De Gregori, e dove ricevette le prime critiche per quello “stile atipico, buffonesco, che dissacrava il pop e quindi risultava improponibile per quel pubblico”, ha raccontato Ernesto Bassignano, un altro dei musicisti “fissi” del celebre locale romano.
Il suo primo singolo “I love you Marianna” aveva un testo comico e goliardico, a tratti quasi demenziale e nonsense. Ma quella voce “sporca”, sgraziata, di cui lui stesso si vergognava, unita a quella passione innata per la chitarra costringevano anche i più accaniti detrattori a dargli una possibilità.
E dopo il relativo riscontro commerciale del suo primo album “Ingresso libero” del 1974, il vero successo arriva l’anno successivo con “Ma il cielo è sempre più blu”, un brano atipico, fuori da qualsiasi schema, in grado di spiazzare pubblico e critica sin dal primo ascolto.
Rino era probabilmente seduto al solito bar, “Il Barone”, nel quartiere Montesacro di Roma, forse sorseggiava la sua “birra chiara in lattina” descritta in uno dei suoi primi pezzi: prende la chitarra e accenna i primi versi di un nuovo brano, ispirato da quel movimento caotico di persone per le strade della Capitale.
“Chi vive in baracca, chi suda il salario” “Chi sogna i milioni, chi gioca d’azzardo”: ogni “Chi…” è riferito ad una persona, ad un comportamento o ad un vizio e mette volutamente in contrapposizione ricchezza e povertà, evidenziando le disuguaglianze sociali ed economiche, tematica eternamente attuale.
Questo lunghissimo elenco di “Chi…” nelle varie strofe è interrotto dal ritornello dolceamaro attraverso cui Rino ci ricorda che non esiste una realtà unica ed univoca, che non partiamo tutti dalla stessa condizione ma allo stesso tempo ci indica il “cielo sempre più blu” sopra le nostre teste che rimane immutato e se ne infischia dei problemi terreni.
Il 45 giri, pubblicato nell’estate del 1975 e che superò le 100.000 copie vendute nel giro di pochi mesi, contiene la versione “estesa” del brano: 8 minuti e 23 secondi, divisi in due parti (una per lato). Un’idea geniale del cantautore calabrese che nessuno aveva mai attuato prima di lui e che rende unico questo pezzo.
Purtroppo Rino ci ha lasciati troppo presto, ormai 42 anni fa, quando lui di anni ne aveva solo 31, ma, oltre ad essere stato un dissacrante ed ironico interprete di canzoni, era soprattutto un visionario in grado di comprendere in anticipo il declino morale di quegli anni così complicati e di raccontare con uno stile innovativo frammenti di vita quotidiana in cui la maggior parte delle persone potevano riconoscersi ed identificarsi.
di Luca Nebbiai

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