Rancore
Una parola, mille sensazioni. Nella definizione di “rancore” vi sono molteplici coinvolgimenti. Il tripudio di una rabbia interiore che cresce e si sviluppa, intensa, inarrestabile, nascosta. Una rabbia che cela, dentro se, una profonda e iraconda passionalità. Troppo facile esplodere come una bomba sbottando istantaneamente. Molto più difficile è covare, tenersi dentro, contestualizzare rabbia e paure. Così nasce il rancore, il più alto dei sentimenti “negativi”, il più profondo e, tra l’altro, anche il più sincero e pericoloso.
Tarek Iurcich conosce bene questa sensazione, è evidente. Ogni sentimento è razionalizzato, analizzato e psicoanalizzato fino allo stremo. Fin dai tempi del primo EP “Segui me” il giovane rapper romano contestualizzava e spiegava le sue profonde e intime sensazioni, immerse in quel rancore e in quella epifania coscienziosa nata da una vita nel quartiere romano “Tufello”, non esattamente una dimensione pariolina per utilizzare un eufemismo.
Da “Segui me” fino a “Darkness” Rancore ci ha deliziato con le sue storie, storie di uomini e di mondi, storie di emozioni e sensazioni, storie fatte di autobiografismo e spasmodica osservazione di un mondo circostante da osservare con un occhio critico e, allo stesso tempo, anche pietoso.
Con “Musica per Bambini” Tarek supera se stesso, proponendo un album maturo, elaborato, sfrontato, coeso e assolutamente troppo avanti anche di fronte alla stessa “avanguardia” (di buffoni) che oggi tenta di imporsi come prodotto originale nella scena Italiana.
Che Rancore sia una garanzia di qualità si sa dai tempi di Acustico/Elettrico. L’artista di razza lo vedi già alla nascita, circondato da un’aura inconfondibile (e che non saprei sinceramente spiegare). Ergo, questo nuovo allucinante lavoro, non è una novità. Rancore è qualità, una qualità che sai verrà sempre confermata se non, addirittura, alzata passo dopo passo.
Con Musica per Bambini (rilasciato il primo giugno scorso) Rancore sembra, infatti, aver ulteriormente alzato l’asticella dai precedenti lavori, già qualitativamente fin troppo notevoli.
Ciò che troviamo in questo nuovo album, e che mancava nei precedenti, è una maggiore compattezza. Il filo conduttore è unico e ci conduce in un viaggio introspettivo fatto di ricordi, psicoanalisi, domande senza risposte e dolorosi momenti epifanici, come quello che abbiamo in Depressissimo, pezzo dove con un “orrendo” superlativo si tende ad accentuare, con una parola che suona così bambinesca, la pesantezza della grande sindrome dell’uomo del 21esimo secolo che, oggi come non mai, sembra attanagliare chiunque.
Giocattoli, con il suo arpeggio di pianoforte simil “No Surprise” (Radiohead) racconta in modo intimo e straziante la facilità con cui al giorno d’oggi, le persone, durante il loro percorso sono disposte a buttar via tutto ciò che “invecchia”, affetti compresi (nulla di più ovvio nell’era del consumismo).
Coeso, intimo, variegato e mai monotono. Ne sono esempio la frenetica e nervosissima Beep Beep (tre minuti e mezzo di pura benzina) o la super roccheggiante Skatepark, dove Tarek riporta alla mente i ricordi di una gioventù ormai persa, passata e messa indietro dal travolgente e traumatico processo di crescita.
Non solo, però, troviamo elementi notevoli nelle tematiche. Anche le strumentali rappresentano un grande aspetto qualitativo di questo album. Dalla tendenza Dark/electro della rancorosa opener Underman alla pianistica Sangue di Drago, (pezzo dal testo metaforicamente fantasy) troviamo un variegato mondo sospeso tra elettroniche dure, dolci sonorità pianistiche e abbellimenti fatti di archi, organi e tanto altro. Si costruisce un album dalle sonorità coraggiose, drammatiche, intime, teatrali e profondamente intense.
Musica per Bambini è un viaggio nell’animo di un uomo, anzi, degli uomini, perché alla fine l’universale non è nient’altro che il territoriale senza muri (come affermava il letterato portoghese Miguel Torga). Così le storie psicoanalizzate ed estratte dalla microdimensione interiore di Tarek diventano il manifesto di un’esistenza alienata, di una modernità sbagliata, fatta di giocattoli gettati, principii del passato persi nel vuoto, frenesia e depressione. Una modernità che dispera e inquina (o almeno ci prova) coloro che più hanno la forza di pensare, sentire, osservare e provare.
Il tutto sorretto da un comparto musicale (come sempre in Rancore) qualitativamente eccezionale, cucito su ogni singolo testo con perfezione maniacale riuscendo a creare un concept emotivamente coinvolgente che fa a cazzotti con la mente dell’ascoltatore lungo tutti i quarantaquattro minuti di esecuzione.
Siamo di fronti a uno dei migliori album rap della storia nostrana? Credo proprio di si.
Voto – 8
Lorenzo Natali

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