“Quello che mi fa stare bene” è il nuovo singolo da solista del cantautore e chitarrista romano Roberto Maccaroni, in arte “The Sheriff”.
“Quello che mi fa stare bene” è un brano coinvolgente e ritmato che riporta l’ascoltatore alle sonorità anni ‘80 e ‘90, periodo che “si respira” anche nel videoclip ambientato in una palestra come il celebre “Physical” di Olivia Newton-John, manifesto dell’epoca.
La musica di Roberto Maccaroni vive di mille sfumature che lo accompagnano sul palco sia da solista che come chitarrista e corista della band che affianca, ormai da quasi dieci anni, Fabrizio Moro.
E proprio con il cantautore romano, “The Sheriff”, ha instaurato una proficua collaborazione che lo ha portato a firmare la musica di brani del calibro de “L’essenza”, “Intanto”, “Le cose che hai da dire”, “Senza di te”, “Maledetta estate”.
La sua indole da anima libera traspare in tutta l’intervista, dai racconti sul quello che lo fa stare bene, alla modalità in cui ha scelto di fare musica.
Ora però è il momento per Roberto Maccaroni di riprendere in mano la sua carriera solistica e ci ha raccontato come, “Quello che mi fa stare bene”, sia l’inizio di un nuovo percorso.
INTERVISTA
Ciao Roberto,
iniziamo subito col parlare del tuo singolo. Cos’è “Quello che mi fa stare bene”?
Tutti penserebbero sia la musica che, ovviamente, mi fa stare benissimo, ma ci sono altre cose che mi fanno stare bene, anche più della musica. Una di queste, in assoluto, è cucinare.
Ho una grande passione per la cucina che ho approfondito anche nella mia precedente esperienza lavorativa; infatti, prima di fare il musicista a tempo pieno, ho lavorato per un periodo in Rai e ho avuto la fortuna di stare a contatto con grandissimi chef quali Gianfranco Vissani, Heinz Beck e Fabio Campoli, che mi hanno stimolato a perfezionare alcune procedure. È una passione che coltivo sin da piccolo.
Quando cucino i pensieri non esulano mai dalla ricetta, non ho nessun tipo di distrazione, sono totalmente concentrato in quello che faccio e, questa cosa, non mi succede neanche con la musica.
A volte, quando sto suonando, c’è qualche pensiero che mi porta al di fuori dal palco; quando cucino questo non succede, quindi è una grande forma di evasione che mi fa stare benissimo.
Trovo delle grandi similitudini tra cucinare e comporre una canzone perché per fare una buona ricetta bisogna sapere miscelare gli ingredienti come quando si mixa un brano.
Altra cosa che mi fa stare bene è camminare nei boschi. Mi piace molto stare a contatto con la natura e fare trekking; mi riconnette con il mio io interiore più profondo.
“Quello che mi fa stare bene” ha come tema principale la libertà e il sentirsi a proprio agio. Quale ruolo preferisci sul palco?
Credo che molti musicisti siano timidi o perlomeno io mi rispecchio nella timidezza e, sin da quando ho iniziato a suonare la chitarra, per me è diventata un po’ come la “Coperta di Linus”. Infatti compro sempre chitarre più grandi, per coprirmi di più.
Il palco è un posto dove ti metti veramente a nudo: ci siete solo tu e la tua arte, davanti alle persone. Questo ti porta ad avere anche un po’ di sana ansia da prestazione che ritengo fondamentale, l’importante è riuscire a dominarla, perché è quella che poi ti dà la spinta per dare il meglio.
Sul palco mi sento abbastanza mio agio sia come frontman, quando suono nei miei live, che quando faccio il chitarrista, per esempio per Fabrizio Moro, perché ho la fortuna di avere con lui un profondo rapporto di stima sia professionale che umana e lui mi concede la massima libertà, quindi non mi sento costretto in un ruolo.
È una dote da leader di Fabrizio che apprezzo tanto e che hanno davvero pochi artisti. Lui è molto generoso sul palco e se ti ha scelto è perché ha capito che puoi dare un certo tipo di contributo anche durante i live.
Il brano è un omaggio alle sonorità anni ’80 e ’90, periodo che “si respira” anche nel videoclip, ambientato in una palestra come il celebre “Physical” di Olivia Newton-John, manifesto dell’epoca. Cosa ti manca di quel periodo, musicalmente parlando?
La cosa che mi manca di più è la spensieratezza di quegli anni: ero molto più piccolo, avevo molte meno responsabilità e molti più sogni e speranze.
Erano gli anni del boom economico in Italia; non c’erano i conflitti che siamo abituati a sentire ogni giorno o, almeno, si aveva un’altra percezione della realtà che ci circondava; probabilmente vivevamo nella nostra campana di vetro e dall’altra parte del mondo le guerre c’erano lo stesso, ma vivevamo più sereni.
Per quanto riguarda il brano ho voluto omaggiare le band come i Duran Duran, gli Spandau Ballet e i Depeche Mode che, in qualche modo, hanno scolpito la mia coscienza artistica e musicale.
Tra le prime band che ho ascoltato quando ero più giovane ci sono i Cure. Il loro concerto al Palaeur ha risvegliato la mia anima rock ed è grazie a quella folgorante esperienza se ho iniziato a suonare la chitarra.
Anche nel video abbiamo voluto ricreare quel mondo visivo, riattualizzato al 2025, usando un certo tipo di abbigliamento e, soprattutto, i colori fluo che si usavano in quel periodo.
Diciamo che “Quello che mi fa stare bene” sta al progetto “Roberto Maccaroni the Sheriff” come “Rio” sta ai Duran Duran, questa per me è l’equazione perfetta!
Accanto alla tua carriera solistica sei, ormai da tanti anni, chitarrista di Fabrizio Moro, e con lui hai avuto modo anche di firmare le musiche di alcuni suoi successi. Raccontaci come è iniziata questa avventura!
Ho conosciuto Fabrizio quando, con la mia band gli Strani giorni, siamo stati chiamati ad aprire i suoi concerti.
In quelle occasioni ho avuto modo di conoscerlo meglio e di consolidare il nostro rapporto.
Quando Fabrizio ha deciso di rinnovare la band e di sostituire alcuni elementi, io mi sono fatto avanti perché la sua idea era quella di formare una band che non fosse composta soltanto da musicisti che eseguivano il brano, ma era più interessato ad avere un tipo di approccio in cui magari, il chitarrista, poteva portare un contributo anche a livello artistico e compositivo.
Continuerò sempre a ringraziarlo per l’opportunità che mi ha dato.
Quando ho deciso di entrare nella sua band ho dovuto lasciare un lavoro fisso, c’è voluto un bel coraggio! Qualcuno mi disse che ci vuole molto più coraggio a fare tutta la vita un lavoro che non ci piace, anche se poi, tutto sommato, il lavoro che facevo a me piaceva. Lavoravo nel mondo dello spettacolo e avevo la possibilità di incontrare grandi artisti e di confrontarmi con loro.
Scrivere con lui è davvero una magia. Ho avuto la fortuna di firmare anche due singoli che sono usciti ultimamente e che sono andati molto bene e sono contento perché vedo che il nostro sodalizio artistico si rafforza sempre di più. Adesso stiamo lavorando al nuovo album e il mio sogno è quello di riuscire a firmare con lui un brano per Sanremo (la mia mamma ne sarebbe felicissima).
Ricordo che quando Fabrizio vinse il festival di Sanremo insieme ad Ermal Meta, ovviamente poi il vincitore era anche il rappresentante per l’Italia all’Eurovision Song Contest, ricevetti la telefonata del suo manager per sapere se avessi preparato i documenti e capii con stupore che sarei andato con loro a Lisbona all’Eurofestival.
Non tutti sanno che le voci sono tutte dal vivo, in diretta, quindi sul palco c’erano Fabrizio ed Ermal, ma dietro le quinte a fare i cori c’eravamo io e Andrea Vigentini, che è il corista e chitarrista di Ermal.
È stata un’esperienza formativa incredibile, che porterò sempre dentro di me e che mi ha dato la possibilità di confrontarmi con artisti di tutta Europa e questa è stata una cosa meravigliosa.
L’esperienza che hai accumulato sul palco e negli studi di registrazione con Fabrizio ti è servita anche per cambiare/migliorare nel tuo percorso?
Quando hai la possibilità di lavorare con un grande artista è oro colato.
Da Fabrizio ho imparato tantissime cose che riporto anche nei miei brani; mi ha dato anche un’apertura sia verso altri tipi di sound, ma anche diversi tipi di scrittura dei testi, perché Fabrizio è molto bravo in questo.
È un ragazzo molto ispirato. Gli ho visto scrivere canzoni importanti in cinque minuti e questo mi ha fatto capire l’importanza anche del suono delle parole.
Prima prestavo molta attenzione al significato ma a volte lui stesso mi ha fatto notare come sia importante anche l’aspetto sonoro delle parole e sia necessario sacrificare una parola piuttosto di un’altra, perché magari ha un suono migliore e fa rotolare meglio la rima, l’assonanza o la melodia.
Anche con la chitarra mi sono poi dovuto confrontare con un altro modo di scrivere e di arrangiare brani.
Io venivo più dall’Underground e dalla New Wave, invece con Fabrizio ho dovuto imparare anche un utilizzo più pop e più pulito della chitarra, a migliorare nel groove e nell’intenzione del tocco.
Lavorare negli studi di registrazione ti fa uscire dalla zona di comfort perché ti ritrovi ad essere osservato dal produttore, che ti chiede in tempo reale di cambiare una nota, un arrangiamento o un arpeggio e lì devi essere pronto a fare subito la cosa giusta e a farla anche bene.
Ho iniziato a suonare la chitarra con un’ottica diversa, imparando ad essere più preparato, quindi mi ha fatto crescere a livello musicale, ed è tuttora una grandissima palestra per me.
Come si evolverà il tuo progetto? Hai già delle idee?
La pandemia mi ha insegnato a non programmare le cose a lunga scadenza. Approcciando la filosofia orientale sto cercando di fare un lavoro su di me perché ho capito che è tutto sempre in discussione.
Cerco di vivere la vita giorno per giorno.
La prima cosa è che ho in mente è quella di tornare dal vivo con i miei brani, dato che è dal 2016 che sono con Fabrizio ed è una parentesi bellissima, però in questi anni ho accumulato tanta voglia di ritornare su un palco a cantare i miei brani.
Sto scrivendo già nuove canzoni che, in parte, ho già registrato: un paio di nuovi brani sono pronti.
Non vedo l’ora di tornare sul palco a cantare le mie canzoni, quindi questo è il mio augurio più grande, oltre a quello di scrivere canzoni ispirate e sempre oneste.

Per ogni cosa c’è un posto
ma quello della meraviglia
è solo un po’ più nascosto
(Niccolò Fabi)