“Napule è” di Pino Daniele: un ritratto eterno di Napoli

di InsideMusic

Nel 1977 Pino Daniele pubblicava quello che poi sarebbe diventato uno dei suoi più grandi successi. “Napule è” è una poesia d’amore che il cantautore partenopeo compone a soli 18 anni pensando ai mille volti della sua città. Ma cosa rende davvero unico questo brano? E perché viene considerata una canzone “rivoluzionaria”? Lo scopriamo insieme.

 L’infanzia, il ’68 e l’amore per la chitarra

Giuseppe Daniele, detto Pino, è nato a Napoli il 19 Marzo 1955. Primogenito di sei figli, Pino vive un’infanzia molto povera nei pressi del porto della sua città. Quando è ancora un bambino, i genitori decidono di mandarlo a vivere da due anziane zie, Lia e Bianca, che possono offrigli una vita dignitosa: il distacco dalla madre e dal padre è difficile da gestire ed è anche per questo che il futuro cantautore si rifugia nella musica. Infanzia e adolescenza sono segnate dall’ascolto continuo sia della musica tradizionale napoletana sia dei dischi di blues e jazz provenienti dagli Stati Uniti, una miscela che diventerà il suo marchio di fabbrica.

Si diploma in ragioneria e nel frattempo impara a suonare la chitarra da autodidatta. Si iscrive anche all’università ma ben presto si rende conto che il richiamo della musica è troppo forte: nella sua città, e più in generale in tutta Italia, si respira un vibrante fermento artistico a seguito della contestazione giovanile sessantottina. Pino sposa in pieno quella causa e quegli ideali, vivendo poi sulla sua pelle le speranze e le amarezze di quella generazione.

La formazione e il primo disco, “Terra mia”

Sono tantissimi gli artisti napoletani con i quali Pino incrocia i suoi primi passi negli anni ’70: tra i più noti sicuramente ci sono Rino Zurzolo, Enzo Avitabile, Edoardo Bennato e James Senese. Proprio quest’ultimo, sassofonista e fondatore del gruppo “Napoli Centrale”, prende sotto la sua ala il giovane cantautore, contribuendo in modo determinante alla sua formazione e alla sua crescita musicale. È così che arriva “Terra mia”, il suo primo Lp, nel 1977. Un album che, oltre alla track-list, contiene “Napule è” e altri brani che restituiscono sin dal primo ascolto la cifra stilistica di questo straordinario artista.

“Napule è”, la “ciorta” e la rivoluzione musicale

“Mille colori”, “mille paure”, bambini che fanno confusione, il paragone tra la città e “la carta sporca di cui nessuno se ne importa” e poi il concetto della “ciorta”: un concetto tipicamente napoletano che si traduce in quel modo di vivere sempre in bilico tra maledizione e fortuna, con la sensazione che la propria esistenza sia comunque figlia di un destino ineffabile al quale nessuno può sfuggire e che non si può nemmeno controllare.

C’è tutto questo in un brano diventato iconico e perfettamente rappresentativo di una città unica come Napoli. Una città dalla storia millenaria che ha vissuto svariate dominazioni culturali, ricca di contraddizioni e misteri, legata al folklore, alla superstizione, ai miti e alle leggende che ne hanno aumentato costantemente il fascino.

Le parole cariche di amara consapevolezza che Pino canta con malinconia si distaccano dal modo tipico di descrivere Napoli, che fino a quel momento era solamente la città del sole, della pizza e della leggerezza (basti pensare a “O’ sole mio”, “O’ sarracino” o altri brani tradizionali).

La rivoluzione è musicale ma soprattutto letteraria: Pino mescola gli elementi della tradizione con strumenti moderni, attingendo al blues, ma in particolare disegna un ritratto crudo della sua Napoli, quella dei quartieri più umili e popolari, dove si ha la triste sensazione di essere abbandonati e si lotta ogni giorno per sopravvivere.

In “Napule è” i versi e la musica si intrecciano in modo magico e, chiudendo gli occhi, si possono vedere le infinite immagini che solo una città come Napoli è in grado di offrire.

di Luca Nebbiai

2

Potrebbe interessarti