Home Approfondimenti Motta: “L’indie non è il nuovo cantautorato italiano”

Motta: “L’indie non è il nuovo cantautorato italiano”

by InsideMusic
00 Copertina Motta Villa Ada Laura Sbarbori 5

Torna puntuale come ogni giovedì la rubrica più indipendente del web – Gioved-INDIE: ospite di questa settimana il cantautore toscano, ma romano d’adozione, Francesco Motta. Lo scorso 6 aprile è stato pubblicato da Sugar il suo secondo album “Vivere o morire“, da cui sono stati estratti i singoli “La nostra ultima canzone” e “Quello che siamo diventati“. Il prossimo 8 luglio, invece, partirà ufficialmente il suo tour estivo, che vede la partecipazione dell’artista al GoaBoa di Genova, festival di cui InsideMusic è partner.

Ciao Francesco, benvenuto nella nostra rubrica del giovedì più indipendente del web, Gioved-INDIE, domanda introduttiva generale: cos’è per te l’INDIE e cosa si mantiene ancora INDIPENDENTE?
Non so precisamente cosa voglia dire “indie”, io sono sempre stato poco indipendente perché anche ai miei primi dischi in realtà non ci ho lavorato da solo, ma c’era la mano di mia madre. “Indie” probabilmente rappresenta un’associazione di canzoni in italiano, non si tratta neanche del nuovo cantautorato altrimenti si chiamerebbe in questo modo. Io mi reputo un cantautore dal momento che canto le canzoni che scrivo. Indipendente potrebbe essere la voglia di cercare di fare un lavoro con tanta passione e disciplina, senza pensare al giudizio degli altri, per me l’unico modo per fare questo mestiere è rimanere autentico.

In “La fine dei vent’anni” canti: “Non devi sbagliare strada e trovare parcheggio”. Adesso senti di aver intrapreso la giusta direzione?
Quella non era tanto una direzione, quanto un’analisi per capire che avevo bisogno di trovare parcheggio, adesso alcuni ne ho trovati, altri fortunatamente no, per cui sono sicuramente più tranquillo di prima. La ricerca continua, ma averne trovati alcuni mi dà un minimo di sicurezza.

Il titolo del tuo nuovo album – “Vivere o morire” – rappresenta quasi una sorta di aut aut. Quale di queste due condizioni ha scelto Motta ?
Beh si capisce, è ovviamente quella di vivere, però ho dovuto anche fare i conti con una sorta di accettazione dell’errore e delle cose sbagliate che ho fatto nella mia vita senza doverle per forza trasformare per crescere.

Sei passato da “Del tempo che passa la felicità” a “Ed è quasi come essere felice”. Com’è riuscito Motta nel corso di questi due anni ad essere “quasi felice”?
In realtà io sono felice, quel quasi fa sempre parte di una sorta di ricerca che poi porta alla felicità. Come ci sono riuscito non saprei, sicuramente cercando sempre di più quello che mi faceva stare bene, magari non per forza autoreferenziali.

Hai dichiarato che per la scrittura di un disco necessiti di almeno quattro anni, con “Vivere o morire” invece non è andata proprio così. Raccontaci la genesi dell’album.
Con “Vivere o morire” ne ho impiegati trentuno e mezzo di anni, quindi è quasi una sorta di riassunto di una vita. Ho iniziato a scrivere alla fine dello scorso tour, poi ho avuto bisogno di un momento di stacco dove sono stato in casa a Livorno con i miei genitori e poi da lì mi sono ritrovato a fare i conti con un po’ di cose che pensavo di aver cancellato ed invece erano lì di fronte a me. Dopo quest’analisi c’è stato un processo di sintesi che ha portato alle canzoni, devo dire che ho lavorato tutto il giorno tutti i giorni, cosa che non avevo mai fatto prima. A prescindere dal tempo, sicuramente qui ho impiegato molto di più a livello energetico.

Riccardo Sinigallia ha curato la produzione de “La fine dei vent’anni”, mentre per “Vivere o morire” hai affidato il compito Taketo Gohara. Come ti sei trovato a collaborare con lui?
Feci delle prove con diversi produttori ed ho capito che Taketo era la persona giusta. Questo disco l’ho prodotto al suo fianco, quindi ci ho messa molta più oggettività rispetto a “La fine dei vent’anni”. Taketo è stato meraviglioso, inoltre sono stato accompagnato da Pacifico, il quale mi ha dato una mano sui testi. Diciamo che scelgo il produttore in base al tipo di lavoro discografico.

È la seconda volta che un tuo album viene candidato alla Targhe Tenco come miglior disco in assoluto. Qual è il tuo pensiero riguardo l’attuale scena cantautorale italiana?
Mi fa piacere che i miei album siano stati nominati perché si tratta di un premio che prescinde un po’ anche dalle cose che vanno di moda, ha un nome di cantautore a cui va portato tantissimo rispetto.

Se “La fine dei vent’anni” contiene “Mio padre era un comunista”, in “Vivere o morire” è presente “Mi parli di te”. Per te quanto è importante il rapporto con tuo padre durante la composizione?
Non lo so se continuerò per sempre a parlare dei miei genitori, però affrontare il rapporto con loro ti porta sicuramente a crescere, trasformare babbo e mamma in due persone che, oltre a fare cose bellissime, compiono anche degli errori, ti avvicina ancor di più a vederli umani e ad essere più pronto a trovare la tua indipendenza.

Dopo un piccolo assaggio a fine maggio, domenica parte ufficialmente il tuo tour estivo che comprende anche la partecipazione al GoaBoa di Genova, festival di cui la nostra testata è partner. Ci puoi svelare qualche anticipazione in merito al tuo live?
Sono molto felice di venire a Genova, sarà la prima ed ultima data di questo tour in Liguria. Chi ha visto il concerto sa che sono circondato da bravissimi musicisti e sa che le mie canzoni si trasformano quando le eseguo dal vivo, quindi vale la pena capire in che modo cambiano. Poi ci sarà tanta musica…

Ti saluto con un gioco: scegli un tuo collega indipendente a cui inviare un messaggio, una nota di stima, un vaffanculo, chiedere un featuring, io proverò a sentirlo ed aprirò la sua intervista con il tuo appello. Chi scegli e cosa senti di dirgli?
Scelgo Jonny Greenwood, mi piacerebbe immensamente piacere fare delle cose insieme a lui.

 

Intervista a cura di Lorenzo Scuotto e Fabiana Criscuolo

Potrebbe piacerti anche