E se durante una delle sere più belle della vostra vita vi venisse chiesto di scegliere la canzone che preferite per immortalare quel momento, come ne uscireste?
Secondo noi della rubrica Mal Di Testi uno dei testi più misteriosi che siano mai stati scritti potrebbe essere Sonnet dei Verve.
Perché ? Leggete di seguito e capirete meglio.
E il 1997 quando la band capitanata da Richard Ashcroft ci regala questo singolo elegante e plurisfaccettato, tratto dall’album Urban Hymns.
Siamo nel pieno del Brit Pop Style, con le due band del momento Oasis e Blur a farla da padrone. Ma The Verve è un progetto a se stante, con una cifra stilistica ben precisa.
Corredato da uno splendido videoclip musicale, in loop sullo storico canale VideoMusic tanto da imporsi al grande pubblico, malgrado possa benissimo essere definita canzone d’èlite.
Trattandosi di un testo straniero ci occuperemo anche di tradurlo, per quanto possibile.
My friend and me
looking through her red box of memories
Io e il mio amico
intenti a guardare attraverso la sua scatola rossa di ricordi
Fading I’m sure
But love seem to stick in her veins you know
Di che scatola si parla? Come mai è rossa? E soprattutto chi è la “lei” a cui si fa riferimento? Difficile stabilirlo. Il fatto di aver dato ai ricordi il colore rosso ne accentua la forza.
Una scatola color rosso vivo somiglia a un cuore pulsante oppure a una televisione d’epoca. La metafora regala dunque numerosi spunti di riflessione. E com’è questa scatola? Di certo sbiadita, eppure
attaccata alle sue vene. “You know”, scrive Richard, come a rivolgersi a qualcuno che sa.
Il clima è mistico, come la poesia che il titolo stesso incarna.
Si parla di un amico, qualcuno con cui condividere la malinconica gioia di questo prezioso ricordo per poi approdare a un ritornello dolce e sognante.
Yes, there’s love if you want it
don’t sound like no sonnet, my Lord
Si, c’è amore se tu lo desideri
non suona come un sonetto, mio Signore
Il ritornello di Sonnet è qualcosa di davvero particolare. Si, se si desidera l’amore c’è ed è tutto intorno. Questo amore strano, diverso, che non “suona” come un sonetto. In che senso? La forma poetica
del sonetto (di cui Shakespeare è maestro indiscusso) in genere è quella prescelta per rappresentare un amore romantico e in una certa maniera -classico-.
Il sentimento di cui ci parla invece Ashcroft in queste liriche così criptiche è un amore universale, che non ha una forma eppure persiste.
My Lord, ripete Richard. Si rivolge a qualcuno, un signore che potrebbe -chissà- forse essere Dio stesso.
Se così fosse non sarebbe probabilmente il Dio cattolico che noi tutti conosciamo, ma piuttosto il Dio che è in ognuno di noi o il Creatore dell’Universo stesso.
La sensazione di pace e dolcezza in cui Sonnet ci culla è la certezza che non siamo soli in questo Cosmo. Un amico, anche solo metaforico e ideale, è sempre lì, pronto a tenderci la mano
.Why can’t you see
that nature has is way of warning me
Eyes open wide
looking at the heaven with a tear in my eye
Questa strofa è di una bellezza rarefatta e delicata. Perché non riesci a vedere, chiede Richard, che la natura ha il suo modo di avvisarmi. Occhi spalancati osservano i paradisi con una lacrima dentro
al mio occhio. Si, in maniera letterale questo è il significato. Noi questi occhi ce li immaginiamo. Si perché questo è un testo che ci parla e lo fa dal di dentro. E’ un testo fatto principalmente di immagini.
Frame, fotografie, frammenti di visioni che sembrano comparirci davanti, ma che soprattutto ci creano una vibrazione interiore. Pelle d’oca , sintonia e completa simbiosi di musica e parole. Questo e
molto altro è Sonnet.
Sinking faster than a boat withouth a hull
my Lord
dreaming about the day when I can see you there my side
Frase portante della canzone è racchiusa in queste tre frasi clou. Una delle metafore più belle mai usate, descrive l’amore quando in maniera inarrestabile esonda come nave che ha perso la propria
carena. E cosa accade quando si lasciano le briglie? Quando non si ha più il controllo delle proprie emozioni? Si sogna, naturalmente. Ma ciò che Ashcroft dice di sognare qui, è davvero peculiare.
Sognando il giorno in cui ti vedrò al mio fianco. Sognano il giorno, soprattutto dice, in cui ti vedrò dalla mia parte.
Non so dire bene perché, ma questa frase mi fa sempre pensare a qualcosa di religioso, del tipo “sedette alla destra del padre”. Nulla di spiegabile razionalmente, ma semplice rimando.
Sognare che qualcuno sia dalla propria parte. Sognare che Dio, o il fato forse? Siano dalla nostra. Sognare che il padre, fisico o spirituale faccia il tifo per noi.
E lo faccia proprio mentre la nostra ricerca di amore ci fa deragliare come treni inducendoci in errore. Ci prenda la mano e ci tiri su.
A questo punto quasi la maggioranza dei testi sarebbe terminata, ma Sonnet no, Sonnet ci ripensa e ha ancora qualcosa da dire, da dirci.
Here we go again and my head is gone. my lord
Qui di nuovo andiamo e la mia testa è andata, mio signore
I stop to say hello ‘cause I think you should know by now
Ho smesso di dire ciao perché penso tu lo sappia, da ora
Che cosa ha ancora da dirci Richard? Come si noterà non è affatto semplice da dedurre.
Ciò che è certo è che parlare di saluto è un fatto rivoluzionario. Ho smesso di salutarti, di dire ciao, scrive e canta Richard. Questo smettere di salutare nell’accezione del testo qui analizzato non è
azione atta a disconoscere l’altro. Sembra quasi il contrario.
Penso tu lo sappia, da ora.
Da ora, ripete Ashcroft. Come fosse silente dichiarazione d’amore, quell’amore che non si compie nell’unione sacrale di un burocratico matrimonio.
L’amore universale che abbraccia tutto un insieme di cose. Un sentimento lontano dal possesso. Un sentimento che nel silenzio compie il suo più bel sonetto.
Una distanza che è vicinanza, un dialogo che è presenza.
This love have you on it don’t sound like no sonnet.
Eppure c’è, questo amore c’è.
Di seguito il video: https://www.youtube.com/watch?v=r2vGa-yLiso