“Ma che musica c’è” – Il Cile ci racconta il suo nuovo singolo e l’album in arrivo

di Giusy

Il Cile, pseudonimo di Lorenzo Cilembrini, una delle penne più ricercate del panorama pop e cantautorale italiano, fa il suo ritorno con “Ma che musica c’è, un nuovo singolo carico di sincerità e riflessioni sul mondo musicale e sociale contemporaneo. Dopo tre dischi di successo con una Major, il cantautore si reinventa come artista indipendente in collaborazione con la Teide Dischi e Ada Music Italy.

Questo nuovo capitolo musicale segna un ritorno alle origini, dove l’artista si mette a nudo e racconta la sua lotta per raggiungere i traguardi professionali, lanciando un messaggio potente sul valore della gavetta e dell’autenticità nella musica.

Nei dettagli di questa intervista, il compositore e interprete aretino ha raccontato del proprio passato, della sua evoluzione artistica e del significato dietro al nuovo singolo, che affronta tematiche profonde e attuali che riguardano la generazione dei millennials, la Gen Z e il rapporto con la musica e i social media.

Scopriamo insieme il dietro le quinte di questo ritorno, i progetti futuri e il suo approccio alla musica, in una chiacchierata avvincente con uno dei talenti più autentici e versatili del panorama musicale italiano.

Intervista a Il Cile

Ciao Lorenzo, benvenuto su Inside Music. Cominciamo subito: “Ma che musica c’è” è il tuo nuovo singolo e segna il tuo ritorno come artista indipendente. Cosa ti ha spinto a prendere questa decisione e quali sono le sfide e le opportunità che hai incontrato in questo nuovo percorso?

“Ciao, grazie a voi. Guarda, la cosa positiva di lavorare con un’etichetta indipendente è la dimensione umana che ne deriva. Walter Bonnot, il fondatore di Teide Dischi, ha la distribuzione con Ada Music Italia, che fa parte della Warner ed è quindi una major. Ma, lasciando da parte i tecnicismi, ciò che mi interessava davvero dopo tre dischi con una major, dopo la pandemia, quando ero incerto sulla pubblicazione di un singolo, è stata la possibilità di avere molto tempo a disposizione, anche se in modo forzato.

Ho avuto un lungo periodo per rimettere a punto e creare nuovi brani, perché con il passare del tempo cambiano anche i pensieri legati ai testi che avevo scritto in passato, e sentivo il bisogno di esplorare nuove tematiche. È stato così che ho avuto l’opportunità di lavorare con un nuovo produttore, Andrea Palumbo, noto come “Bombo”, che sarà anche coautore di alcuni brani del prossimo disco intitolato “Il giro largo”, la cui uscita è prevista per fine ottobre.

La nostra intenzione è quella di prendere il controllo del processo creativo in modo più diretto, affrontando le sfide del percorso, e pur partendo da zero, vogliamo creare un lavoro a lungo termine. È un approccio diverso rispetto alle grandi case discografiche con cui ho collaborato in passato, anche se devo ammettere che ho ottenuto soddisfazioni, come con il mio primo disco, oppure “Maria Salvador”. Adesso, però, è importante concentrarsi sulla libertà creativa e sulla possibilità di condividere la musica che sento veramente mia, con il mio pubblico.

Non vorrei parlar male di una realtà che mi ha dato qualcosa, però credo che raggiunta un’età che ritengo matura, abbia le cifre mentali per poter cercare di determinare personalmente il mio lavoro, senza sovrastrutture troppo ingombranti che decidano sopra di me. Ecco, questo è quello che vorrei fare.”

Nel brano “Ma che musica c’è” affronti il confronto tra la tua generazione – quella dei millenials – e la Generazione Z. Puoi spiegarci meglio il messaggio che vuoi trasmettere e qual è il tuo punto di vista su questa differenza generazionale?

“Sì, io appartengo – credo – all’ultimo anno di nascita della generazione dei Millennials. Nel brano mi riferisco alla Generazione Z, perché è quella che sta cambiando le modalità di approccio alla musica e alla vita rispetto a quando ero piccolo io. Non provo assolutamente nessun dissenso nei confronti delle persone che hanno questo approccio “diverso” e soprattutto l’idea che “prima eravamo meglio” non mi appartiene.

Non giudico le diverse generazioni, ma analizzo il contesto storico in cui ciascuna di esse si è trovata a vivere. Ogni generazione ha avuto i suoi momenti di cambiamento, con aspetti positivi e negativi: la mia generazione ha vissuto il cambiamento tra fisico e digitale, mentre la Gen Z è nativa social.

La mia riflessione riguarda soprattutto l’invasività dell’intelligenza artificiale e del mondo virtuale, e mi chiedo fino a che punto queste nuove tecnologie porteranno i giovani e gli adulti del futuro a perdere il contatto con la bellezza della vita reale.

La musica, ad esempio, è diventata molto virtuale con lo streaming, ma suonarla fisicamente in giro è qualcosa di più personale, di più autobiografico. Non voglio dare giudizi morali – anche perché penso di essere l’ultima persona al mondo a poterne elargire – ma rifletto sull’evoluzione della musica nel corso della storia, passando da momenti frivoli ad altri più impegnati.

Stiamo vivendo un periodo in cui la musica sembra più usa e getta, con un’attenzione maggiore sul minutaggio e sui ritornelli che colpiscono. Tuttavia, mi chiedo se questo sarà davvero il corso che sbloccherà il futuro, anche a livello umano, o se sarà solo un momento temporaneo e la vita prima del web tornerà a sentire il bisogno di comunicare qualcosa di più profondo.

Se pensi agli anni ’80, li assocerai, ad esempio, a una musica che potremmo definire più ‘di plastica‘, più superficiale. Poi arrivano gli anni ’90 con grandi cambiamenti con il grunge, come l’avvento dell’hip-hop e altro ancora.

È una riflessione un po’ complessa, ma ho cercato di semplificarla. Le mie canzoni servono proprio a questo: esprimere il mio pensiero e stimolare queste riflessioni sulla musica e sull’umanità in continua evoluzione.”

A proposito, mi hai dato uno spunto per un’ulteriore domanda: In un’epoca in cui il mercato musicale è sempre più dominato dalla digitalizzazione e dallo streaming, come pensi che gli artisti possano mantenere un legame autentico con il pubblico e promuovere la propria musica in modo efficace?

“Credo che ci siano due modi di approcciarsi alla musica. Il primo è quello di diventare un grande interprete, diventare famosissimo e affermato. Io, invece, vengo da un’altra scuola, una scuola dove ho adorato e studiato artisti come De André, De Gregori, Lucio Dalla, Smashing Pumpkins e molti altri. Queste sono persone che hanno dedicato la loro vita alla musica, si sono sforzate di evolvere nel corso del tempo, affrontando alti e bassi, e hanno cercato di lanciare dei messaggi non necessariamente universali, ma comunque desiderosi di trasmettere qualcosa di urgente.

Per me, l’importante è avere qualcosa da dire, ma avere qualcosa da dire con urgenza, con passione. È come essere un piccolo alunno di una scuola, immerso in un ambiente in cui si adora e si studia la musica con fervore. È un approccio diverso, un’esperienza in cui si mette la propria vita in pasto alla musica. Non si cerca la fama sfrenata, ma si cerca di esprimere se stessi e lanciare messaggi che possono essere compresi e condivisi da chi li ascolta.

Quindi, per me la musica è molto più di una semplice esibizione, è una forma d’arte in cui l’artista si immerge completamente, cercando di evolvere e di creare qualcosa di significativo nel corso del tempo, con tutte le sfumature e i momenti alti e bassi che ne conseguono.

Bisogna diventare consapevoli del fatto che se si ama la musica e si vuole farne un lavoro, c’è spazio per tutti, anche se il successo non sarà uguale per tutti. Ci sarà sempre chi otterrà più numeri e chi meno, ma questo non deve essere inteso come un confronto tra artisti. Ogni artista ha la sua strada e il suo pubblico, e non bisogna giudicarne il valore solo in base ai numeri.

E secondo me, questo risponde anche alla tua domanda. Se parliamo di artisti emergenti, ho visto nel corso degli anni alcuni progetti che, secondo me, non sono stati affrontati in modo molto lucido. Molto spesso, in passato più che adesso, si è verificato un fenomeno nel mondo discografico in cui sembrava funzionare il modello dei Negramaro, e quindi si cercavano dieci “Negramaro”. Ma è chiaro che non tutti possono essere i Negramaro. Ho menzionato il loro nome a caso, solo per spiegare il concetto.

Lo stesso sta accadendo oggi nel mondo dell’hip-hop, dove troviamo una grande esplosione di artisti emergenti. Con il tempo avverrà una scrematura naturale, e resteranno solo i vertici capaci di lasciare un segno duraturo.

Il pubblico, anche la massa, riconosce la sincerità e l’autenticità dell’artista. Prendi un prodotto commerciale come Laura Pausini, è sincera e autentica nella sua proposta musicale. Lo stesso vale per artisti come Gianluca Grignani o Vasco Rossi. I giovani artisti spesso si avvicinano all’industria musicale con l’idea di voler ottenere successo immediato, influenzati dai social media che esaltano i numeri e la popolarità.

In passato, alcuni discografici si sono concentrati sui numeri dei follower sui social, ma questa mentalità ha dimostrato di non funzionare a lungo termine. La cosa più importante, secondo me, è riconoscere che non tutti possono raggiungere livelli di fama tanto da riempire stadi della portata di San Siro.

Lavorare nel mondo della musica è un mestiere fragile, altalenante e spesso snervante a causa delle molte incognite. Tuttavia, diventa una passione ossessiva senza la quale non si può vivere. È una realtà a cui ci si deve adattare. Ogni tanto, nella musica, può arrivare un genio come Mozart che crea capolavori senza sforzo, ma nella maggior parte dei casi, è una strada difficile e conta molto il lavoro di squadra e le interconnessioni.

Personalmente, il mio approccio è un po’ ossessivo quando scrivo canzoni per me stesso e anche quando lavoro come autore per gli altri. Essere totalmente al servizio degli altri, escludendo l’orgoglio, è una parte importante del processo creativo quando si lavora per artisti diversi.

È importante ricordare che il successo non è l’unico metro di misura per valutare la qualità e il valore di un musicista. Ciò che conta davvero è l’onestà e l’autenticità con cui esprime la propria arte, trasmettendo emozioni e messaggi veri al pubblico. Ogni artista ha una propria voce e un proprio percorso unico, e il successo può avere significati diversi per ognuno.

Questi concetti possono essere difficili da comprendere per un giovane, ma è importante che imparino che la musica è un’arte e una passione che può essere coltivata e vissuta in modo personale e autentico. Non bisogna farsi abbattere dai numeri o dalle aspettative degli altri, ma seguire il proprio cuore e la propria vocazione, con la consapevolezza che esiste un posto per ogni artista nel mondo della musica.”

Tu hai scritto canzoni per tanti artisti come i Negrita e Loredana Bertè e altri ancora. Sono curiosa: come affronti il processo creativo quando scrivi per te stesso rispetto a quando scrivi per qualcun altro? C’è qualche differenza nel tuo approccio?

“La scrittura, intesa come la messa a punto delle parole in un discorso o di una tematica, è una cosa gratificante. Cercare di raggiungere un buon livello di soddisfazione per chi ti ha commissionato un testo, è importante.

Quando scrivo per me stesso, invece, è una cosa del tutto diversa. Scrivo continuamente, prendo sempre appunti e a volte mi viene un’idea improvvisa di melodia, quindi mi fermo e prendo la chitarra o annoto l’appunto sul telefono con GarageBand. Tutto il lavoro si accumula come un insieme di idee. Successivamente, tendo a scremare con il producer o con l’etichetta, e a volte i temi che erano pensati per me possono piacere a un altro artista e finisco per lavorare anche per loro.

Ritorniamo alla tua ultima fatica, che uscirà in ottobre. Puoi darci un’anteprima? Quali sono le tematiche principali che tratterai e cosa possiamo aspettarci in termini di sound e stile o di collaborazioni?

“Dal punto di vista del suono, lavorando con Boom.bo, il nuovo producer con cui sto scrivendo i brani, posso dire che ci sarà sicuramente un ritorno a sonorità più simili a quelle del mio primo disco. Meno produzioni sofisticate, più dirette e funzionali al testo e al cantato.

Riguardo ai contenuti, dopo la trilogia del dolore dei miei primi tre dischi, ho cercato di distaccarmi dai tormenti interiori. Questa volta ho voluto creare un album meno cupo e affrontare temi diversi con stabilità e ironia, ispirandomi agli stili dei miei idoli, tra cui Rino Gaetano.

Ho cercato di dipingere un quadro più ampio del mondo che ci circonda. Nel singolo “Ma che musica c’è”, forse questo aspetto è passato un po’ in secondo piano, ma volevo anche riagganciarmi un po’ alle sonorità del passato. Nel nuovo album, ci sarà spazio anche per la risata, una risata magari amara, spinosa e caustica.

Attualmente, siamo molto soddisfatti di come stanno andando le cose, abbiamo ricevuto un grande supporto dalle radio con le nostre canzoni e ci sentiamo liberi e sereni nel nostro lavoro. Osserviamo attentamente le reazioni dei nostri ascoltatori tra un brano e l’altro, per poi pianificare ulteriori azioni relative al disco e a eventuali collaborazioni.

Per le collaborazioni, devo ammettere che ho sempre preferito fare i miei dischi, mantenendo il controllo creativo su ogni aspetto del processo. Questo fa parte della mia indole, poiché non mi piace chiedere favori o dipendere troppo dagli altri. Tuttavia, è anche vero che ho condiviso la mia musica con artisti più famosi di me, e se qualcosa nasce in modo spontaneo e voluto, come accadde con ‘Maria Salvador,’ ben venga. Quindi, il nostro lavoro è un work in progress, fatto senza pressioni, né pensando a raggiungere una meta precisa. Vogliamo fare ciò che ci piace, con il desiderio che piaccia al pubblico, poiché ci mettiamo tutto l’impegno necessario. Questo è il modo in cui vedo anche l’approccio della squadra.”

E puoi già darci qualche anticipazione sul tour?

“Proprio vecchia maniera: finiamo di registrare il disco e poi annunciamo le date del tour. Al momento non c’è ancora nulla di delineato.”

Ti faccio l’ultimissima domanda, sono curiosa. C’è una canzone in particolare nel tuo nuovo album che consideri speciale o significativa per te? Puoi condividere con noi il motivo per cui hai scelto quella canzone e cosa ti ha ispirato nella sua creazione?

“Se devo scegliere una canzone, sicuramente opterei per ‘La Gravità non c’è’. Questo brano parla di un momento molto complicato nella mia vita. Hai presente quando si dice che una persona ti salva la vita? Ecco, è esattamente quello che è successo in quel caso. Quella persona di cui parlo è la mia compagna. La canzone racconta di questo. Ma vi invito ad ascoltarla per scoprire il significato, perché se lo raccontassi ora sarebbe come svelare il finale di un film.”

Grazie mille per il tuo tempo, Lorenzo, In bocca al lupo per il brano e per l’album. Ci vediamo in tour!

“Grazie a voi. Vi aspetto! A presto!”

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