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Passing through emotions: intervista al musicista Loris Al Raimondi

by Paola Pagni

“PASSING THROUGH EMOTIONS” è il nuovo album del musicista e produttore italo-svizzero LORIS AL RAIMONDI. Hip-Hop, Jazz e Soul mescolati in album strumentale che vede la partecipazione del leggendario chitarrista Mike Stern e di musicisti del calibro di Fabrizio Sotti, Alfredo Paixao, Gary Willis, Nir Felder, Tom Kennedy, Kevin Field, Tony Grey, Ettore Carucci, Massimo Biolcati, Michel Cusson, Giuseppe Milici.

Composto, registrato e mixato da Loris AL Raimondi, “Passing Through Emotions” riflette il percorso di vita del produttore italo-svizzero, dalla sua stessa nascita, passando attraverso l’amore, la nascita di una figlia, fino alle dolorose esperienze con la morte. Le canzoni suonano leggere come una piuma e i musicisti, provenienti da ogni angolo del globo, si fondono tra loro come se si conoscessero da anni.

Parlando con Loris Al Raimondi abbiamo ripercorso le tappe del processo creativo di questo album, dall’idea di partenza alle collaborazioni inaspettate.

Intervista a Loris Al Raimondi

Dopo una profonda riflessione sulla sua vita, nel 2020 inizia a comporre nuova musica e a lavorare sul progetto “Passing Through Emotions”: che cosa è successo?

Durante il primo periodo del covid, avevo a disposizione più tempo libero, così mi sono messo sul tapiroulant per smaltire qualche chilo. E mentre correvo avevo di fronte a me un quadro, preso molti anni prima, in cui sono rappresentati tre lupi che attraversano un paesaggio invernale, ed il titolo del quadro è Passing Trough.

Così ho riflettuto sul concetto di vita come passaggio, ed inevitabilmente ho iniziato con la mente a fare una sorta di bilancio della mia vita. Mi venivano in mente molte cose del mio vissuto, tra cui la morte di mio fratello avvenuta in Italia tanti anni fa. Così da tutte queste emozioni sia positive che negative, è nata la voglia di lasciare un segno, con un album che le raccogliesse tutte.

E visto che da ragazzino uno dei miei passatempi era cercare vinili per scoprire musica nuova, ho pensato che magari, anche oggi, ci possa essere qualcuno come me, in questo senso.

La musica a me ha sempre aiutato nella vita, e magari con questo album potrei essere io d’aiuto a qualcuno, chissà.

Così ho svuotato la mia anima per dire che non siamo soli, perché altre persone hanno magari vissuto la stessa cosa o la stanno ancora vivendo. Ed ho cercato di fare questo attraverso la musica.

Quindi Passing through emotions è un disco da ascoltare per riflettere?

Sì, questo è un album che andrebbe ascoltato con l’idea di farsi trasportare. Io vedo i ragazzi di oggi che ascoltano musica da Tik Tok per 5 secondi e poi passano alla canzone dopo. Per me la musica va vissuta diversamente, ti devi tuffare nel pezzo e far fluire le emozioni. Questo non può succedere in pochi secondi, ci vuole il suo tempo.

Se dovessimo descrivere lo stile di questo album?

Io sono produttore hip hop ma amo il jazz, e tutta la musica ovviamente: così ho voluto mischiare questi mondi. Ho pensato che questa cosa dovesse essere fatta da musicisti importanti, altrimenti sarebbe stato un prodotto che non rendeva giustizia all’idea. Io alla fine voglio sentire delle emozioni forti in un disco.

Infatti troviamo Mike Stern,Fabrizio Sotti, Alfredo Paixao, Gary Willis, Nir Felder, Tom Kennedy, Kevin Field, Tony Grey, Ettore Carucci, Massimo Biolcati, Michel Cusson, Giuseppe Milici.Come sono nate queste collaborazioni?

Conoscevo già Massimo Biolcati quando ho deciso di fare questo album, mentre non conoscevo gli altri musicisti. Però ero una fan di Fabrizio Sotti e Alfredo Paixao, di cui avevo anche un certo timore nel chiedere di partecipare, per esempio. Lo stesso vale per Nir Felder, Mike Stern, Gary Willis, Tom Kennedi e poi tutti gli altri.

Ad esempio, da ragazzo avevo campionato un pezzo degli Uzeb, il gruppo di Michel Cusson. Così mi sono detto: questo lo voglio utilizzare per l’album, quindi devo chiedere il permesso a lui. Quando ho fatto questa richiesta, lui mi ha detto: mandami il pezzo e poi vediamo. E così ho fatto. Lui mi ha riscritto dicendomi non solo che lo potevo riutilizzare, ma che voleva suonarci sopra anche lui. Così in quel brano, che è la traccia n.7 del disco, adesso ci sono due chitarre suonate da Michel Cusson: una del brano dell’84 e una di adesso.

Un disco strumentale iniziato nel 2020 ed uscito nel 2022: come mai questo lasso di tempo?

Sicuramente dall’inizio ad ora, questo lavoro ha preso delle vie che non mi aspettavo. All’inizio ad esempio non avevo i musicisti, solo dei beat hip hop. Per cui assolutamente non credevo che poi tutti questi musicisti di caratura internazionale partecipassero al mio album. Anche perché è qualcosa di diverso dal loro solito genere, che è il Jazz. Alla fine mi ci sono voluti due anni perché ho fatto tutto io, senza casa discografica o etichetta. Per cui dalle composizioni, agli arrangiamenti, ai missaggi etc., me ne sono occupato io, e questo ovviamente mi ha richiesto più tempo. In questo modo però è uscito un lavoro esattamente come lo volevo, ed ovviamente anche molto personale.

Cos’è quindi che lega tutti i brani tra loro?

Sono tutti brani che hanno un significato, a partire dal primo che è la nascita all’ultimo che è la morte. Con questa chiave di lettura si capisce che sono tutti momenti della mia vita. Ad esempio, You are the melody of my life è una dedica a mia moglie, e quando è arrivato il momento di suonarla ho detto a Kevin Field ed a Tony Grey che avrebbero dovuto suonare tenendo conto di questo. Così come No one dies forever è dedicato a mio fratello scomparso a 17 anni, ma non volevo fosse un brano troppo triste, per cui ho detto a Mike Stern che si doveva in qualche modo celebrare la vita di mio fratello nel pezzo. Per questo dico che è un lavoro estremamente personale, anche se fatto da molti musicisti, ed il fil rouge dell’album è la mia vita.

Riusciresti a dire se c’è un brano a cui sei particolarmente legato?

Io ogni volta che ascolto questo album mi emoziono, perché sono tutti brani a cui tengo molto. Però uno di quelli che mi fa veramente impazzire è The last moment in your arms, perché lì anche Alfredo Paixao ha suonato in un modo così perfetto da non poter chiedere altro.

Pensi di portare live un lavoro così personale e profondo quindi?

L’idea era quella di fare un album che potesse rimanere, ma sicuramente anche portarlo live sarebbe bello. È una cosa a cui avevo pensato, ma avrebbe bisogno di un programma un po’ particolare, in quanto io in quel caso andrei in giro come beat maker. Quindi chissà, magari con la proposta giusta, nelle location adatte, si potrà anche fare.

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