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Lorenzo Lepore ci parla dell’album “Cielocittà” – INTERVISTA

by Alessia Andreon
lorenzo lepore

È uscito la scorsa settimana “Cielocittà”, il nuovo album del cantautore romano Lorenzo Lepore.

“Cielocittà” è un viaggio tradotto in 12 storie che raccontano Roma e il caos urbano che la soffoca, che per magia scompare se guardi il cielo. L’album racconta 12 storie di persone unite da incontri casuali e dalla continua ricerca di qualcosa di più grande.

All’interno delle canzoni c’è l’insoddisfazione, la ricerca della felicità, i vizi, l’amore insicuro, la paura e il delirio. Ma, alla fine, tutto è illuminato dalla luce, che è rinascita dal dolore.

Abbiamo fatto una intensa chiacchierata con Lorenzo Lepore, che ha scritto ogni brano di “Cielocittà” scegliendo attentamente le parole, in modo che si venisse a creare un perfetto intreccio di ironia e resilienza.

INTERVISTA

L’album si apre con la traccia da cui prende il titolo, “Cielocittà”; una dichiarazione di libertà, personale e collettiva, che è anche il filo conduttore dell’album in cui la protagonista assoluta è Roma. Hai giocato sul titolo “Cielocittà” come se tutte le storie che si svolgono sotto quel cielo fossero un set di Cinecittà?

Che bella domanda! C’è, sicuramente, qualche reminiscenza in questo titolo di Cinecittà, ma mi ci hai fatto pensare adesso…

I titoli che dò non sono mai realmente voluti, ma richiamano una parola che mi viene in mente casualmente.

Ieri notte pensavo che c’è anche molto di Venditti in questo titolo, col suo album “Centocittà”, quindi è stra romano!

Per quanto riguarda “Cielocittà”, un giorno sono uscito di casa nella zona dove abito, nel quartiere africano, e ho visto un cielo terso trafitto da palazzi industriali e da lì è nato “Cielocittà”.

È il riassunto delle mie giornate: basta alzare la testa verso l’alto e farsi travolgere da un cielo meraviglioso che ti fa riflettere sulle cose importanti della vita quando, solitamente, siamo concentrati sempre sulle cose più amare e monotone come trovare parcheggio, non guardarci più in faccia mentre camminiamo…

Per me è un ritorno alle origini, ad una città che somiglia a un cielo: armoniosa, pacifica, che vuole guardare in alto.

Dodici protagonisti o uno solo?

Sai che non lo so neanche io… Penso che la musica sia, principalmente, di chi l’ascolta, quindi è l’ascoltatore che decide chi o quanti siano i protagonisti.

A me piace pensare che sia il viaggio di una sola persona; infatti, nel retro dell’album, sono rappresentate 12 fermate di metro, e ogni traccia è una fermata della metropolitana che, come dici tu, potrebbe essere un set, un luogo, una città.

In ognuna di queste fermate si avvicendano storie profondamente radicate nella metropoli romana.

Nella prima storia, che è “Cielocittà”, il protagonista è in macchina che guida e muore libero in mezzo al traffico, perché io passo tutte le giornate nel traffico di Roma, una sfida perenne.

Questo album l’ho scritto proprio nel traffico e non a caso, attraverso il percorso della macchina, inizio ad esplorare la mia città ma anche il mondo, la società da cui si dipanano altre storie: in “Nessuno al mondo” trovo l’amore, poi in “Canzoni d’amore” un po’ lo rinnego e svelo la sua essenza.

Poi ci sono tracce come “Strega da bar” che, invece, è una storia totalmente non personale, che parla di un femminicidio, quindi c’è anche il delirio, la pazzia, il vizio.

L’uomo e la nuvola” parla di un uomo che si innamora di una nuvola e la cerca per sempre nel blu del cielo; “Sovrastrutture” parla della nostra società e infine c’è “Luce” che, più che una canzone, è una preghiera, esprime il senso profondo di quest’altro album: alla fine, l’importante, è guardare sempre la luce e il protagonista della canzone vuole fare tesoro di questa luce perché possa guidare i suoi passi.

Hai dichiarato che con questo album vuoi “Regalare un po’ di profondità alle persone. Farle divertire, commuovere, ma soprattutto ascoltare e guardarsi dentro, anche solo per un istante”.  Il cantautore, da questo punto di vista, è facilitato, perché per poter scrivere devi per forza saper scavare dentro di te. Cosa significa per te riuscire a toccare con le canzoni le vite di altre persone?

Per me significa tutto, se non ci fossero delle persone che mi possono ascoltare con le cuffie sulle orecchie o davanti a un palco, non avrebbe senso quello che faccio.

Lo faccio anche per me stesso, perché è una passione reale quella della musica, la sento profondamente e mi ci specchio. Attraverso la musica riesco a trovare un senso e ad esprimere un’emozione e questo è profondamente terapeutico. 

La mia missione è quella di arrivare alle persone, di incoraggiare, commuovere, far riflettere con la mia musica. Questo disco vuole elogiare le cose importanti della vita che, spesso, sono anche le più piccole.

“Parentesi” mi ha fatto pensare a qualcosa che va protetto, nel senso che a volte le parentesi vengono usate per separare ma sono anche uno scudo, qualcosa che viene messo lì dentro per non essere intaccato. Cosa ne pensi?

Questa canzone sta piacendo molto, e non l’avrei mai detto; i dischi ti sorprendono sempre!

Le parentesi sono anche delle protezioni quindi, effettivamente, parla anche della caducità della vita e del fatto che la felicità è fatta di attimi.

La musica è questo: una grande parentesi con cui, con ironia (per tornare alla prima domanda), si può fare a pezzi un’idea; un mondo libero in cui possiamo sognare, in maniera utopica, quello che desideriamo e che ci protegge da tutto quello che è sbagliato.

Io stesso mi pongo tante parentesi sia musicali che mentali, che mi consentono di andare in alto, in posti meravigliosi dove vorrei abitare, che si chiamano canzoni.

Con “Canzoni d’amore” il tuo intento era quello di criticare l’eccessivo sfruttamento del tema amoroso nelle canzoni. Com’è che ti è venuta alla fine una canzone d’amore a tutti gli effetti?

Il mio problema più importante è, ed è stato, quello della difficoltà nello scrivere canzoni d’amore. Magari può essere una mia difficoltà, ma vogliamo chiamarla anche una caratteristica, dato che oggi parlano tutti d’amore.

Ci sono tantissimi temi belli di cui non parla nessuno, delle sfumature particolari…

Pure Lucio Corsi che adesso sarà a Sanremo 2025, a cui ho fatto l’opening di un concerto, non ha mai parlato d’amore esplicitamente, fino ad ora, e ha una carriera importante ma arriva alla gente perché l’amore sta sotto le sue dita, in quello che scrive, anche nelle fiabe, nelle meravigliose storie che racconta…

Ho criticato questo tema e nel criticarlo ho parlato d’amore anch’io, in maniera profonda, e questa è stata la cosa particolare.

“Canzoni d’amore” è una canzone che parla della mercificazione delle canzoni d’amore, non in maniera banale o smielata, ma più originale, nelle piccole cose: ci cerchiamo tra i fornelli e le allergie….

In “La strada di casa” c’è la richiesta a “Ercole” di frantumare il cuore e offrirne le briciole agli avvoltoi. È una sorta di mea culpa per la fine di un amore che era “strada di casa”.  Hai un tipo di scrittura estremamente evocativo, da dove trai ispirazione?

Principalmente da quello che vivo; mi sveglio la mattina e, soprattutto per quanto riguarda quest’album, volevo raccontare quello che vivevo in prima persona, quindi ho scritto ogni dettaglio che vedevo intorno a me, che mi ha colpito uscendo di casa, però, indubbiamente c’è anche tanto di quello che leggo e che ascolto.

Per “Sovrastrutture”, per esempio, ho attinto da un discorso fatto ad un corso sui dieci comandamenti in cui siamo finiti a parlare del rapporto tra multinazionali e tutto quello che viene definito green economy…

In altre canzoni, come dicevi tu, ho citato la mitologia incarnata da Ercole.

“L’uomo e la nuvola” è nata sul balcone da cui sto facendo ora quest’intervista.

Vengono da tante cose diverse ma, principalmente, questo disco è un viaggio all’interno di una città: ai semafori rossi scrivevo i miei pensieri, quello che mi passava per la testa e a volte lo registravo anche.

Mi ha colpito molto “La Bandiera”: la storia di quell’infinita sete di potere che si ottiene con la violenza, per poter governare senza curarsi dei danni che si procurano ad altri. “Un giorno un uomo disse: Questo pezzo di terra è mio! E anche questo pezzo di cielo e questo pezzo di mare nel nome di Dio…” è una storia terribilmente attuale…

Ripudiare la guerra, oggi, sembra quasi un argomento retorico ma è anche così ovvio; non capisco perché ancora esista la guerra, dovrebbero vietarla per legge.  

“Cielocittà” vuole far riflettere le persone nella frenesia tagliente della metropoli, della vita, dell’Industria, della società, sul fatto che effettivamente oggi c’è ancora gente che soffre e noi ce ne freghiamo.  

La bandiera” parla della nascita del potere; di un uomo dell’era primordiale che un giorno si inventa una bandiera e si impossessa di una terra e si inventa una Patria per cercare di sovrastare e violentare nazioni.

Mi chiedono nella canzone: se la vita è diventare padroni, che cosa è che ci rende migliori? Questo concetto è fondamentale per me, perché fa riflettere anche sul potere e su cosa siamo disposti a fare per far valere le nostre origini e proteggere i nostri confini, quando effettivamente siamo tutti fratelli: potevamo nascere in Africa come in Inghilterra o a Gaza e siamo sempre esseri umani, ma questa cosa, paradossalmente, ce la dimentichiamo tutti i giorni nel momento in cui facciamo prevalere il nostro Ego contro la vita degli altri.

È importante dare voce anche agli ultimi, anche alle persone che stanno soffrendo e questo, secondo me, porta a guardarsi dentro e pensare.

Fa bene parlarsi, confrontarsi con gli altri.

Dato che vuoi che le persone abitino le canzoni, ci sarà un tour?

L’album è già stato presentato dal vivo con un esclusivo concerto all’Alcazar di Roma, insieme alla band e al collega Matteo Costanzo.

Stiamo lavorando a tanti concerti per l’Italia, che è il motivo principale per cui scrivo, cioè parlare alle persone.

La prima data importantissima sarà al Magazzino sul Po di Torino per il format Sofà So Good, il 12 gennaio, poi ne verranno sicuramente delle altre…

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