Ultima fatica della band post-rock scozzese Mogwai è KIN, soundtrack dell’omonimo thriller fantascientifico uscito il 31 Agosto 2018.
Kin è un film fantascientifico di Jonathan e Josh Baker, che, a quanto pare, non uscirà mai in Italia. Mettiamoci l’anima in pace, in quanto i diritti del film non pare siano stati comprati da nessuna company di distruzione italiana, e alla Lionsgate non importa un fico secco di portarcelo qua. Tralasciando questo piccolissimo particolare, attendendo il DVD o l’acquisizione da parte del beneamato Netflix/Amazon Prime Video e similari, togliamo la buccia e passiamo alla polpa succosa della questione: la colonna sonora dei Mogwai.
Mogwai, un nome già cinematografico di per sé, in quanto il nome delle bestioline di Gremlins, è una band inglese post-rock, attualmente punta di diamante del genere, assieme agli islandesi Sigur Ròs e ai conterranei Gospeed you!Black Emperor, hanno all’attivo già un paio di colonne sonore: Les Revenants, serie tv francese del 2012 che descrive una versione incredibilmente elegante e civilizzata degli zombie (forse per sentimento di rivalità per i GY!BE, che avevano musicato 28 giorni dopo), e lo splendido dramma spazio-temporale di Darren Aronofsky, The Fountain, assieme al maestro Clint Mansell.
Insomma, post rock e soundtracks vanno a braccetto. Ultimo lavoro originale dei Mogwai è, però, Every Country’s Sun, album dal sound più duro dei precedenti e più influenzato dai recenti lavori dei God is an Astronaut. Col seggio nell’Olimpico dell’alternative rock ben consolidato, i quattro ragazzi scozzesi si sentono liberissimi di far ciò che più gradiscono, compreso firmare, completamente da soli, la colonna sonora di un film hollywoodiano.
Kin, mettiamoci l’anima in pace ed immaginiamo la trama dal trailer, è ambientato in futuro neanche troppo lontano, e vede protagonista un ragazzo (Jack Traynor) e suo fratello maggiore (Myles Truitt): il ragazzo in questione trova un’arma aliena, che utilizza inizialmente per salvare il fratello da un’aggressione, finendo poi per essere perseguitato ed inseguito da: 1)James Franco, nei panni di un criminale assetato di vendetta cui il fratellone doveva dei soldi; 2) i federali (praticamente un jolly ad Hollywood); 3)gli alieni produttori dell’arma in questione. Insomma, un road movie un po’ sci-fi. Le premesse sono grandiose: il produttore, Shawn Levy, è lo stesso di Arrival, film fantascientifico del 2016 che venne candidato agli Academy come Best Movie, nonché dell’arcinota Stranger Things, serie tv che ha fatto la fortuna di Netflix anche in Europa. La regia dei fratelli Baker rappresenta un po’ un salto nel vuoto, in quanto costoro non hanno niente se non un cortometraggio, dal quale è stato appunto tratto Kin, all’attivo. Staremo a vedere se quanto di buono corrisponde a realtà: del resto, un’altra coppia The Endless/The Resolution, della coppia esordiente di registi Justin Benson e Aaron Scott Moorhead, ce la aspettiamo sempre.
Passiamo ordunque all’album. È stato anticipato da due singoli: Donuts e We’re not Done.
KIN, Mogwai (Rock Action Records): artwork e tracklist
1.”Eli’s Theme”3:23
2.”Scrap”2:51
3.”Flee”
4:574.”Funeral Pyre”3:19
5.”Donuts”6:24
6.”Miscreants”3:06
7.”Guns Down”6:19
8.”KIN”7:18
9.”We’re Not Done (End Title)”
Eli’s Theme (Eli suppongo sia il ragazzino protagonista) si apre con un arpeggio delicato di piano e percussioni distantissime ad accompagnare ogni nota. Si tratta di una lunghissima intro, cui piano piano si aggiungono effetti elettronici distanti e distorti, come un ricordo antico.
Segue Scrap, chitarra elettrica ed effetti di tastiera che si confondono, andando a creare un sound molto simile a quello della colonna sonora di Stranger Things, firmata dai Survive, una band electrorock che deve moltissimo a John Carpenter e ai Tangerine Dream; i Mogwai però realizzano l’idea dell’alieno, del distante, del diverso, con una magia ineguagliabile. Si tratta di un brano che può, in qualche modo, ricordare la techno minimal, per via delle ripetizioni e delle piccolissime variazioni sul tema, che concorrono a creare l’ansia dell’attesa nell’uditore, sino all’esplosione post-rock del finale.

I due fratelli protagonisti di KIN.
Flee, fuga in inglese, parte elettronica laddove Scrap ci aveva lasciato, con effetti sci fi e bassi distorti, a fare da accompagnamento al pianoforte che si diletta in un esercizio un po’ da manuale di musica 1.0, dal momento che la ricchezza del brano si fa nell’accompagnamento di crepitii elettrici e archi campionati; l’effetto finale è di pura ansia per ciò che accadrà; l’apertura finale, in cui il piano viene affiancato dal synth, con tanto di cambio d’accordo (finalmente), vede anche la presenza maggiore di batteria. L’atmosfera del brano potrebbe essere definita di “cupo arcobaleno”.
Funeral Pyre vede il ritorno della chitarra elettrica pura, nonché di quella acustica. Il pianoforte è sempre protagonista, ben accompagnato dagli archi di background; sembra esserci un richiamo ai motivi musical espressi in Eli’s Theme, ma più in stile Mogwai e meno Tangerine Dream. Torniamo in Scozia e torniamo a Mogwai Fear Satan, a caldi rossi ed arancioni, di soli che tramontano o di pire che bruciano.
Donuts è il brano centrale dell’album. Parte meravigliosamente. La sequenza di accordi è incredibilmente catchy, tranquillabile suonabile sia un club di Berlino che ad un concerto in arena: delicata e distante si aggiunge una chitarra elettrica che canta da sola il male dell’invasione aliena; si aggiunge alla sua battaglia la batteria, con una bella ritmica skeletal. Siamo su lidi low-beat, rilassati e terrificanti allo stesso tempo; la chitarra elettrica nella seconda parte del brano suona come un grido che spezza la pace, introducendo dunque il tipico crescendo a cui i Mogwai ci hanno abituato.
Miscreants riprende il pianoforte ed il tema di Funeral Pyre, ma ci sono degli effetti elettronici apparentemente casuali, come dei piccoli disturbatori impiccioni, intelligentissima trovata per fornire diversità al brano. Segue poi Guns down, viola celtica che si incrina col suono di granate lontanissime: se c’è uno stallo durante una battaglia, in Kin, indubbiamente questo è il brano che lo accompagna. La melodia, nella bella suite da circa sei minuti, viene fornita dalla tastiera, ben ritmata dalle dure percussioni. Si ha un’accelerazione tipicamente post rock a metà brano: una chitarra fortemente distorta si aggiunge al quadro, caotica; Guns down è una lunga riflessione sulla guerra, cantata attraverso quella furibonda chitarra elettrica ed i suoni lo-fi. Sul finale, la batteria diviene più pressante, come il battito di un cuore agitato.
Siamo quasi alla fine. Siamo al brano omonimo, KIN, e siamo ben lontani Every Country’s Sun. Siamo più vicini ai lavori di Zimmer con la colonna sonora di Interstellar, ma ben fuso con i dettami tipici dell’elettronica atmosferica: ripetizioni dello stesso motivo con poche, ben calibrate, variazioni, ed effetti elettronici marcatamente differenti da quelli narranti. Il malinconico motivo di synth e piano potrebbe far sì che il brano diventi ben eseguibile dal vivo, sebbene più lento e dotato di molte, molte, più battute della canzone tipo dei Mogwai. Il sorprendente finale post rock spiazza tutti e lo consacra fra i picchi più alti dell’album.
Siamo giunti alla fine, e all’altro singolo di KIN, We’re not done. Vento si confonde fra le chitarre distorte e gli effetti di synth, andando poi a lanciarsi in un motivetto catchy quasi da The Cure: la new wave è ancora viva in questo brano. È, infatti, cantato, ed incredibilmente intenso: la voce di Stuart Braithwaite ci era mancata. Ovviamente presente nei crediti finali, potrebbe essere la hit dei Mogwai che li lancerebbe nella musica mainstream. Struggente al punto giusto, non dimentica, grazie alla ricchezza strumentale, di trovarsi in un album post rock.
KIN, per quanto sia un lavoro di certo non fra i maggiori dei Mogwai, rappresenta comunque un ottimo album stand-alone, indipendentemente dal suo scopo originario: l’atmosfera è magica, nostalgica, estraniante al punto giusto. Che sia un road movie, che sia una storia d’amor fraterno, o uno sci-fi, KIN, non importa: ci sono i Mogwai, e metà del lavoro è fatto.
Giulia Della Pelle

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