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Italian Beauty de La Governante [Recensione]

by InsideMusic
La Governante

La Governante, arrivati al loro secondo album, ci regalano della musica non fuori dagli schemi, ma inserita in recinti lontani dal resto e definiti dalla volontà del gruppo di dar vita ad ambientazioni fatte di synth e sentimenti

La Governante

Quando si pensa all’indie ormai si ha subito in testa i classici brani che sembrano pop, ma non sono pop, che sembrano cantautorato, ma non sono cantautorato, insomma, si pensa all’indie di oggi.
Eppure, nonostante le influenze indie siano ben chiare durante l’ascolto, in quest’album l’elettronica concede spazio al funky così come alla più semplice delle ballad.
L’amore e i sintetizzatori sono infatti i due personaggi ricorrenti di questo lavoro, onnipresenti in ciascuna traccia, analizzati con gli occhi di mille avventure diverse ed esposti in maniera tale da far sentire l’ascoltatore come in una realtà alternativa e futuristica.

  1. SOPRA LA CITTA’
    Nei primi soffusi istanti l’album ci presenta i protagonisti di questa storia: l’elettronica e le atmosfere che genera. Eppure poco dopo è l’indie pop ad imporsi come figura principale, facendo sì che l’elettronica diventi un personaggio secondario che, nonostante venga messo in disparte dalla voce, riesce a marciare su un beat ben scandito e preciso, così da rendere, con un lento e a tratti impercettibile crescendo, il ritornello un esplosione di suoni. In alcuni tratti si ha la sensazione che alcune scelte stilistiche siano piuttosto banali, forse già sentite. Però non si ha il tempo di pensarci che, nel frattempo, coinvolti dal proseguire della canzone, ci si rende inconsciamente conto che, quelle banalità, un motivo per stare lì c’è l’hanno. Avete presente quando, dopo un ritornello, la voce parte prima della chitarra, che, dopo due battute, sull’attacco dà un senso di slancio utile a ravvivare l’attenzione dell’ascoltatore? Ecco, è una cosa già sentita, indubbiamente, ma è proprio questo piccolo particolare che, riuscendo ad entrare in testa, fissa il mood della canzone.
    Non è semplicemente una canzone indie pop, è una BELLA canzone indie pop, ha qualità, e passata in radio la si immagina come un tormentone assicurato.
  2. LE NOSTRE ATTESE AI SEMAFORI
    La seconda canzone consolida la base gettata nella traccia d’apertura ma sembra velare, dietro una melodia gioiosa e festaiola, un filo di malinconia. Lascia nelle orecchie un contrasto tra nostalgia e sollievo tipico di chi ricomincia a vivere dopo un periodo in cui ci si sente sospesi a mezz’aria. La melodia sposa perfettamente le immagini del testo, ed insieme danno vita a questo semi-tormentone che pretende un ascolto meno superficiale di quello che si concede alla musica di tutti i giorni.
  3. DOVE APPENDERAI IL TUO AMORE
    Il continuo fluire di una batteria e di un basso che, in mezzo al digitale, richiamano lontanamente il digital-funk dei più recenti Daft Punk. Questa canzone non si prende una pausa, espone i dubbi di un romantico senza esitazione e senza mai prendersi il tempo per riflettere. Molto bello il modo in cui la chitarra appare in sprazzi di melodie, rifiutando il ruolo di uno strumento storicamente protagonista del pop e preferendo delle apparizioni sporadiche ma ben assestate.
  4. LA FRETTA INUTILE
    Il tempo rallenta, si, ma l’atmosfera non ha intenzione di andarsene, ed inizia a disegnare intorno all’album il profilo di un mondo personale, l’aria personale di un album, l’anima. Si ha la sensazione inoltre che tra l’indie pop e l’elettronica vi sia sempre più shoegaze a far da collante tra i due.
    La canzone è delicata, e non si scosta dalle sensazioni che si provano appena si mette in riproduzione l’album, riesce a mantenere uno stile così particolare senza interrompere il filo naturale della narrazione musicale.
  5. LA BELLE EPOQUE (Ft. THE NIRO)
    L’arpeggio iniziale, circondato da rumori di sottofondo, richiama la vaporwave lo-fi che tanto spopola su internet oggi, e la melodia vocale viene impostata come colonna portante del brano. La cadenza con cui le parole costruiscono il racconto di una rivoluzione ai piedi di un letto cattura l’attenzione, e diventa il simbolo di questi tre minuti.
  6. COME QUESTO SYNTH
    Quelle pennate iniziali in stile reggae fanno da pavimento al synth centrale, ed insieme accompagnano questa breve filastrocca fino all’inizio dell’altra metà dell’album. Cosa ci sarà dall’altra parte?
  7. GRAN RICO
    L’elettronica diventa sempre più un concetto lontano. Non si tratta più semplicemente di synth e modulatori, ma di un incastro di suoni che producono uno stile ben definito, capace di spaziare dalle ballad a questa meraviglia funky pop, molto simili a quelli di LRSA dei Negramaro se vogliamo, ma affrontati in maniera del tutto diversa. Questo brano ci mette nell’ottica di un lavoro sì indie, ma allo stesso tempo lontano da ciò a cui siamo abituati normalmente.
  8. ALBERI INFINITI
    La canzone più delicata dell’album, il picco poetico e, per me, la più bella dell’intera album.
    Non c’è una nota fuori posto o che si sarebbe potuta evitare, dalla prima di chitarra all’ultimo secondo in cui vibra il synth, persino la batteria viene ridotta i minimi termini. Perché questo è il centro ella canzone: il racconto di un uomo ai minimi termini, che non ha altro una volta perso l’amore, e cerca consolazione in ciò che sa, in ciò che vede, in ciò che lo circonda.
    Conta solo l’amore, ed è vero, questa è una canzone di cui ci si innamora, e male che vada, è una canzone che sa confortare.
  9. THE DREAMERS
    L’album si avvia alla conclusione, ma anziché scemare le emozioni si ridimensionano, comprimono, e racchiudono in costruzioni semplici. Questa seconda parte d’album vive in un atmosfera più intima, riservata a chi si concede il benessere che deriva dall’ascolto totale, non viene certo sprecata a chi limita l’ascolto ai primissimi brani del disco. I sintetizzatori concedono la sensazione di una ninna nanna finchè, dal nulla, un hi hat incomincia a scandire il tempo con colpi sempre più ravvicinati, la ripresa sembra dar vita ad un altro album che inizierà da qui a breve, seppur sappiamo che nel mondo reale (e non nel mondo di sogni in cui ci troviamo in questo brano) tra due brani sarà tutto finito.
  10. IN UN PALMO DI MANO
    E’ una canzone universale: è tutta pop, è tutta indie, è tutta digitale, è tutta tutto.
    Ma sarò sincero, e non vi nasconderò che, seppur sia una bella canzone, è stata quella che meno mi ha convinto, forse per il giro di percussioni che mi è sembrato poco umano e troppo computerizzato.
  11. L’AMORE MUOVE IL VENTO
    Un pianoforte, quanto più naturale possibile, si pone in contrasto con l’atmosfera del brano precedente, e degli archi che crescono introducono il gran finale, e queste ultime continue richieste d’amore sembrano concludersi troppo presto. Infatti, al termine della canzone, dopo un istante di silenzio si fa strada un fruscìo, per ricordarci che è l’atmosfera ad aver dato il via a quest’album, ad avergli dato un filo conduttore, una coerenza ed un finale così fragile.
    Concluso l’album ci si sente come di ritorno da un viaggio che non si è mai realmente intrapreso, siamo riusciti a spostarci senza muoverci.

Alla fine dell’ascolto si ha la consapevolezza che, seppur non sia un capolavoro irripetibile, Italian Beauty è sicuramente un bel modo per investire il tempo e conoscere della musica che, indubbiamente, è capace da far da colonna sonora e ben precisi istanti della vita. Un ascolto piacevole, liscio e scorrevole, coinvolgente e non invadente. Merita più di un ascolto ed ha la capacità di far breccia nell’attenzione di chiunque gli si conceda.
Posiamo dire che Italian Beauty è tanto Italian quanto Beauty.

A cura di Giuseppe Falbo

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