Home Interviste Intervista ad Evelina, un progetto artistico anonimo e queer che propone di andare oltre i confini e l’apparenza dando spazio solo alla musica

Intervista ad Evelina, un progetto artistico anonimo e queer che propone di andare oltre i confini e l’apparenza dando spazio solo alla musica

by Leslie Fadlon
Evelina sq

Marta D è il singolo d’esordio di Evelina, un progetto artistico anonimo e queer che propone di andare oltre i confini e l’apparenza per provare a lasciar spazio unicamente alla musica, alle visioni e alle parole. 

Il brano è prodotto e arrangiato da MuČe Čengić, chitarrista bosniaco tra i fondatori dei Zabranjeno Pušenje – gruppo rock molto popolare nella ex Jugoslavia – produttore discografico e ingegnere del suono, trasferitosi in Italia da Sarajevo alla metà degli anni ’90 dopo il conflitto in Bosnia ed Erzegovina.  Evelina è una nomade delle arti e dei paesaggi e narratrice e tessitrice di quel che resta. È una creatura fragile, oscilla tra il trauma e la gentilezza. Danza liberata e leggera, finché potra, tra gli specchi di questa fraintesa realtà, sul piano inclinato di questa slavina.

L’abbiamo intervistata, buona lettura!

Ciao e benvenuta Evelina. Come nasce e chi è Marta D?

Ciao Leslie! Marta D, come forse è intuibile, non è un chi, ma la carne viva e ferita dei nostri conflitti individuali e collettivi; è l’ombra che per pochi istanti o per una vita intera ci regge uno specchio e ce lo punta esattamente dove non abbiamo la forza e il coraggio anche solo di guardare. Un corpo a corpo violento ma anche tenero, con l’ansia, il desiderio, la depressione, la paura, le dipendenze. Una lotta con quei sentimenti che ci isolano e su cui fondiamo il nostro illusorio e fragilissimo equilibrio prima di crollare o pochi istanti prima di reagire. Può intatti essere anche il risultato di una tensione tra la tentazione della resa e quella voglia di provarci un’altra volta ancora, anche solo per pochi altri battiti e respiri. E questo è lo spiraglio, il dubbio, la proposta. Perché gli atti di pura e creativa ribellione, la condizione stessa dell’essere in rivolta, passano per un simile strettissimo, ambiguo e pericolosissimo baratro, intimo o storico che sia. La necessità di ingaggiare una volta per tutte questa lotta, di accettarla senza il timore di soccombere, è forse la breccia liberatoria tra i macigni di questa gigantesca fortezza in cui siamo reclusə, da cui escludiamo. È il nostro turno di gridare.

Nel brano c’è un po’ di mistero, come nella tua identità. Da dove viene l’idea di realizzare un progetto artistico anonimo e queer?

Tu lo chiami anonimato ma Evelina mi sembra un bel nome, non trovi? A parte gli scherzi, questa idea nasce dalla necessità di proteggere la musica e le parole dall’ipertrofìa delle facce, degli ego, dei corpi ipersessualizzati e delle storie personali, tutte così apparentemente uniche, tutte così di passaggio. Consumiamo ogni giorno tonnellate di volti, di vite e nell’atto stesso di consumarli ce ne allontaniamo, sempre più ossessionatə dai piccoli dolori intimi e incuranti, sprezzanti o furiosə, verso il grande dolore altrui. L’iperumanizzazione di pochə si fonda sulla disumanizzazione dei più. Non voglio aggiungere un ennesimo personaggio a questa distrazione, voglio solo trasmettere quello che mi attraversa e non mi appartiene fino in fondo. Mi chiedo e chiedo se sia ancora possibile farlo, se almeno le arti ne siano ancora capaci, ben oltre l’intrattenimento. Non mi interessa nascondere i nomi reali di chi mi ha dato vita, quello che rifiuto è la necessità di costruire un’apparenza per dare senso a un’urgenza espressiva, qui e ora. Per me essere queer significa accogliere e praticare la discontinuità, la trasversalità, la libertà di dispiegarsi per quel che si è profondamente, contro qualsiasi vincolo e visione binaria, monodimensionale, violenta e mercificante dell’esistente. Ed è innanzitutto proporre un passo indietro del maschile, perché è lo straripamento del testosterone che ha distrutto e sta distruggendo tutto e tuttə. Bisogna che facciamo tuttə un profondo respiro prima che la più necessaria delle rivoluzioni abbia inizio, e questa rivoluzione non può che essere fenmina (in qualsiasi corpo e dimensione naturale si dispieghi). Evelina è insieme femminile e maschile, è la proposta di una nuova e antichissima danza tra queste due forze vitali che, guardando molto lontano, all’era pre-patriarcale, stavano in un rapporto non gerarchizzato e senza nessuna autorità dominante e centralizzata, come la Natura ci aveva insegnato e ormai invano ci insegna.

Nella musica di oggi secondo te il contenuto è passato in secondo piano?

E’ il concetto stesso di “musica di oggi” e l’impianto culturale ed economico che lo incarna, che condiziona, che sequestra, filtra, compromette l’autenticità dei contenuti e di chi li porta. E questo agisce sia sotto forma di opportunistica autocensura da parte di chi crea, che attraverso la tirannia pavida e livellante del mercato, rappresentando una barriera materiale e psichica al coraggio e alla libertà espressiva. Nulla di più lontano di quel che si era sperato e praticato agli albori della rete. Nulla di più lontano da tutto quello che la storia della musica ci ha insegnato. “Musica di ieri, di oggi o di domani” sono solo finte categorie che nascondono spesso l’assenza di contenuto, di visione, di empatia. Ed è proprio perché mi rifiuto profondamente di accettare queste categorie e queste condizioni, e ancor meno di mettere il contenuto in secondo piano, ho scelto la pericolosa ma liberatoria via dell’indipendenza, senza per questo rinunciare al rigore professionale, alla responsabilità e alla gioia di essere pop.

Il tuo nuovo brano è prodotto e arrangiato da MuČe Čengić, chitarrista bosniaco tra i fondatori dei Zabranjeno Pušenje; come vi siete conosciuti?

Muce ha fatto la storia della musica nella ex Jugoslavia. La sua band, i Zabranjeno Pušenje sono stati tra i gruppi più amati e apprezzati negli anni 80 e lo sono ancora adesso. Ci siamo conosciuti a Bologna, dove lui vive e dove il lavoro è stato prodotto. Con Muce abbiamo seguito, forse non consapevolmente, un percorso durissimo (sfiorando a volte situazioni alla Whiplash) e maieutico. Il brano e l’intero disco sono stati letteralmente partoriti in un tempo molto lungo (che ha compreso anche tutto il periodo pandemico) e sono l’esito di un percorso creativo tanto esaltante quanto insidioso, costellato di migliaia di ostacoli, di domande e dubbi anche feroci, ma il cui fine ultimo è stato ed è soltanto la musica, la sua autenticità, la sua potenza, la sua fragilità. Di Muce colpiscono la sconfinata conoscenza della produzione musicale e dell’’ingegneria del suono, la curiosità, il rigore e l’ossessiva attenzione per ogni dettaglio. Ossessione che abbiamo condiviso. Senza Muce forse non ci sarebbe Evelina. E forse Evelina ha dato nuova linfa vitale a Muce. Non è solo il generoso produttore di questo progetto, ne è e ne sarà parte integrante. Per questo ti ringrazio per avermi dato modo di parlarne.

Cosa ti ispira nello scrivere i testi dei tuoi brani?

L’urgenza e la necessità, senza le quali non ha alcun senso scrivere. Il mondo non ha bisogno di nuove canzoni che non siano veramente imprescindibili e non più rimandabili. Devono esserlo almeno per chi le scrive, a prescindere da come saranno recepite, Ma credo che solo per questo tramite (arrivando fino in fondo a noi stessə e questa urgenza) si possa arrivare a toccare, anche solo a sfiorare, le vite e i sentimenti altrui. Siamo l’unica misura che ci insegna a conoscere e ad amare l’umano. Quello che ho provato a fare – in parte facendomi anche strumento di qualcosa che andava oltre me stessa e che mi ha guidata nella paziente ricomposizione di questo vaso – è restituire più onestamente possibile i miei sentimenti, tentando allo stesso tempo di offrire un punto di vista sulla storia, sul presente, col cuore e con la testa, senza alcuna paura di piangere, di dare schiaffi o carezze, dopo averli a mia volta ricevuti. Anche per questo e di questo vivo, oscillando tra il trauma e la gentilezza.

Raccontaci la cover del singolo, che fa parte del progetto fotografico Eclissi..

Eclissi è parte integrante del progetto di questo disco, è l’incontro tra due lunghe progettualità che a un certo punto si sono fuse, quasi come se si attendessero. Sono una nomade delle arti e mi esprimo attraverso molteplici media, tutto in me è frutto di una coralità che confluisce e sfocia. Eclissi sono ombre dei corpi sui corpi, è il frutto di un percorso altrettanto lungo e stratificato, artigianale, il risultato di un processo di deragliamento percettivo e culturale che interpreta la guerra al corpo-donna e all’anima-femmina come radicate e infinite declinazioni di una fobìa maschile, di un punto di vista immutabile, di una biopolitica trasversale, nel tempo e nello spazio. E in fondo la sollecitazione meccanica è la stessa, oltre che l’assunto di base. Cosa accade quando si sottrae alla visione e al desiderio una natura potente, che non è solo forma ma soprattutto sostanza e che non ha bisogno di visione e desiderio per esistere ed emanare la sua energia? Nel libro che sará il disco, nella mia stessa scelta di restare nell’ombra, tutto proverà a rispondere a questa domanda e a porne di nuove.

Quali sono i prossimi progetti di Evelina?

A brevissimo uscirà appunto il primo disco di Evelina, di cui Marta D è solo la prima emersione. Quello che posso dire è che si tratta di un concept album e non vedo l’ora di offrirvelo e lasciare che faccia la sua strada, breve e lunga che sia. Il disco stato composto, arrangiato, prodotto e mixato tra il 2015 e il 2023, tra Roma, Bologna e Sarajevo.

Come possiamo seguirti?

Su tutte le piattaforme e su Instagram, @evelinamusica.

A breve sarà anche disponile il video di Marta D. Prima o poi tutto questo finirà anche su un palco, ma una cosa per volta, l’indipendenza è gioia e dolore

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