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Intervista a Vittoria Piscitelli, artista e art-director di Davide Petrella

by InsideMusic
Vittoria

Vittoria Piscitelli – art-director del primo lavoro solista di Davide Petrella – ci racconta in questa intervista come è cambiato il lavoro del curatore dell’estetica dei supporti fisici, in una realtà sempre più virtuale e meno analogica della musica

Vittoria è ospite della rubrica Musica & Lavoro e con lei oggi torniamo a parlare del fenomeno della sinestesia del supporto fisico: artwork, creazione di copertina e bookletters.
Nell’epoca del digitale tutto ciò apparentemente può sembrare irrilevante poiché la musica sta diventando sempre più liquida, e invece il ritorno al vinile, all’immaginare come suona un disco prima ancora di abbassare la puntina, solo dall’immagine evocativa della confezione, è una moda che sta tornando preponderantemente in auge. Le immagini che custodiscono il disco già lasciano percepire il tipo di musica che troveremo all’interno dell’album, i ritratti provano a farci intravedere l’animo dell’artista e ci pongono in una sorta di sinergia, di unione, con esso prima ancora di ascoltarne la musica. Abbiamo immediatamente disponibile una rappresentazione dello spirito che anima i musicisti in un determinato contesto storico-culturale, e dell’approccio alla musica registrata.

I colori applicati a un’immagine sono così dei messaggi subliminali di quanto è presente all’interno del disco stesso, e ciò lo si può riscontrare, oltre naturalmente che attraverso l’ascolto della musica, anche attraverso la semplice lettura dei titoli e dei testi dei brani dell’album.

In passato molti generi musicali erano ben definiti, oltre che dai canoni musicali che li caratterizzavano, anche dalle immagini, disegni o fotografie, delle cover dei dischi a esso appartenenti. In questi casi l’aspetto grafico assume una rilevanza particolare.
I colori accesi e le immagini indefinite caratterizzano i tratti della psichedelia (13th Floor Elevators, Iron Butterfly, Cream, etc.), la fantasia dei disegni e gli scenari immaginari quelli del genere progressive (Genesis, King Crimson, etc.)

Parlavamo di sinestesia, essa è la contaminazione dei sensi nella percezione, durante la quale le stimolazioni uditive, tattili, visive e olfattive sono percepite dall’individuo come eventi sensoriali conviventi. Grazie alle copertine vengono stimolati quattro dei nostri cinque sensi: l’udito, il tatto, l’olfatto, la vista. Alla musica, quindi, si lega l’odore della confezione, l’immagine in risalto della copertina e la sua lettura durante l’ascolto. Lungimirante nel capire l’importanza del rimestarsi dei quattro sensi è stato – già nel 1930 – Alex Steinweiss che ha trasformato le confezioni di cartone marrone dei vinili in oggetti da collezione, aumentando del 900% le vendite dello storico Sinfonia n.3 di Beethoven.

Per quanto riguarda la scelta delle copertine, normalmente gli artisti appartengono a due categorie molto distanti tra loro, non solo concettualmente ma proprio nel metodo: da una parte abbiamo dischi il cui artwork è frutto di una collaborazione diretta con l’artista, che interviene attivamente nel definire l’identità (se non altro visiva) dell’oggetto-disco; dall’altra, abbiamo l’esempio classico di quei dischi che recuperano a mo’ di illustrazione opere già esistenti e in origine completamente slegate dal medium musicale – ad esempio la mela di Magritte sulla copertina di Beck-Ola del Jeff Beck Group.

Vittoria piscitelli

Alla prima categoria appartiene Vittoria Piscitelli – ospite di questa puntata – art director del nuovo album di Davide Petrella, Litigare, nonché artista a tutto tondo.

Vittoria Piscitelli, attualmente art worker di Davide Petrella, uno dei più talentuosi autori della scena nostrana (sue sono Poetica di Cremonini, Logico e Grey Goose, ma anche molte altre), musicista e artista; per rompere il ghiaccio raccontaci un po’ la tua storia, per chi magari – oltre Tevere – non dovesse aver sentito (ancora) parlare di te.
Vittoria è una artista visiva, non una graphic- designer. Mi sono diplomata all’Accademia delle Belle Arti di Napoli, città dalla quale ho scelto di non andare mai via, anzi di renderla la mia Londra; ho conseguito la laurea in Graphic Design con una laurea in storia dell’arte contemporanea nel 2012. Studiato Fumetto ed Illustrazione. Ho partecipato a numerose mostre collettive tra le quali MELI MELO a Londra in RedChurch Street Gallery curata da Victoria Genzini, Marsida Rexhepaj e Riddhi Bhansali nel 2011 e Il Corpo della Donna, in occasione della settimana della moda milanese, proprio a Milano, così come a molte esposizioni locali a Napoli e in Campania. La mia prima personale è arrivata nel dicembre del 2013 presso la galleria D’Ayala6 a Napoli con il progetto U.G.L.Y. – u go losing your self.
Nel 2014 ha inizio il sodalizio artistico con la band Le Strisce, e questa evoluzione artistica anche nel campo musicale, fornendo al progetto discografico la propria ricerca artistica U.G.L.Y e progettando per loro l’intera immagine coordinata.
Del 2015 è la mostra personale Abat-Jour curata da Federica De Rosa e Corrado Morra presso la Galleria Arti Decorative di Napoli. Tutto questo l’ho fatto per te è la più recente delle mie mostre (dicembre 2017), a cura di Maria Pia De Chiara, Federica De Rosa e Corrado Morra presso la Mapilsgallery di Napoli. Chiusa la mostra mi sono dedicata all’artwork del primo progetto discografico solista di Davide Petrella, ex-leader delle Strisce, Litigare.

Sei cultore della materia in “Storia dell’arte contemporanea” presso l’Accademia delle Belle Arti di Napoli, la domanda che ti faccio, Vittoria,  è in merito a ciò. Negli anni sessanta, fino ai primi ottanta, la storia dell’arte non era del tutto distaccata dalla vita sociale e politica. Con le nuove generazioni invece c’è stata una vera e propria scissione; Vittoria tu a cosa colleghi questo fenomeno?
La politica in senso sociale negli ultimi vent’anni è uscita da ogni forma d’arte, a mio modesto parere. Questo fenomeno me lo spiego associando le sue origini con il trend molto in voga negli anni ’90 in cui l’arte è stata più votata al mercato che al contenuto, cioè più pensata per la sua vendita che nella sua essenza artistica. Se ci pensi siamo la generazione cresciuta negli anni del berlusconismo. Il ruolo sociale che l’arte dovrebbe tornare ad avere consiste nel suo potere comunicativo; bisognerebbe smetterla con lo snobismo del volere puntare sempre più in alto anche a costo di restare incompresi. Purtroppo l’arte in questo momento vive molto il fenomeno della nicchia, se frequenti i vari vernissage ti accorgi che trovi presenti sempre e solo le stesse venti persone, che non è neppure detto che comprendano appieno quello che stanno visitando. Il modo migliore per tornare a comunicare attraverso l’arte, rendendola così socialmente e politicamente un mezzo espressivo, è puntare al “pop”, cioè la sua fruibilità per il “popolo”.

Vittoria piscitelliTra tante tue esposizioni mi ha colpita particolarmente il progetto “U.G.L.Y” che mira a rispondere a questa domanda: a scandagliare il tormento, le ossessioni del mondo moderno, l’obbligo dell’apparire rispetto all’essere, che comporta la mercificazione del corpo, soprattutto di quello femminile. Vittoria, quanto è difficile essere una donna in un mondo così maschile e maschilista come quello musicale?
Ti sembrerà strano ma io sono in controtendenza rispetto alla comune opinione femminile; non sono fan di quel femminismo che si piange addosso. Esistono artiste brave e artisti poco talentuosi e viceversa. Ho iniziato le mie esposizioni personali con U.G.L.Y. che tratta tematiche volte al femminile perché, in quanto Vittoria, sono donna e quindi sono nelle mie corde; non mi piacciono neppure le artiste che fanno di tutto per nascondere la loro femminilità nelle opere. Ma questo non mi ha aperto una strada artistica verso il femminismo esacerbato. Io penso che rispetto ad altri tipi di arte, ad esempio la performance art, io sono fortunata poiché tra me e il fruitore c’è sempre un oggetto e questo già mi tutela. Oggi ci sono sicuramente molte più possibilità di fare arte per noi donne.

Parliamo adesso della combo arte visiva e arte musicale. Vittoria cosa lascia che le sia evocativo per la sua idea grafica, i testi o il sound?
Nel caso di Davide Petrella i testi, raccontano immagini molto forti, sofferte e quindi sono state fonte di ispirazione anche per me. Essendo l’album un melting pot musicale, in cui molti stili si intrecciano, anche le grafiche sono molto diverse tra di loro, ogni pagina del book test è diversa dalla precedente e dalla successiva.
In generale però non è così, chiedo sempre all’artista “di che colore è il tuo disco?”, ho evocazioni di tipo cromatico.

Vittoria piscitelli

Il tuo primo sodalizio nella grafica musicale è stato con “Le Strisce”, resident band campana, che continua anche con il nuovo progetto singolo dell’ex frontman Petrella, come ci hai già anticipato tu stessa. Come è stato lavorare per la band, l’essere un lavoro su commissione ha posto dei limiti alla tua creatività?
L’unico limite che mi è stato posto è che c’è pur sempre un cliente dall’altra parte e in quanto tale deve essere soddisfatto del tuo lavoro. Per il resto come ti ho già detto io non sono una grafica ma mi ritengo un’artista visiva, quindi mi prendo le mie libertà espressive, e i miei clienti lo sanno, e forse mi scelgono proprio per questo, anche perchè di grafici anche più bravi di me n’è piena la città. Nel caso del disco de Le Strisce ad esempio (Hanno paura di guardarci dentro) l’uomo simil svastica che c’è in copertina io lo avevo immaginato e realizzato su sfondo bianco, colore da sempre molto presente nei miei lavori, ma Davide Petrella aveva esigenza di un colore più punk, così feci un po’ di studi a riguardo e scelsi il giallo.

Per quanto riguarda la scelta delle copertine, normalmente gli artisti appartengono a due categorie molto distanti tra loro, non solo concettualmente ma proprio nel metodo: da una parte abbiamo dischi il cui artwork è frutto di una collaborazione diretta con l’artista, che interviene attivamente nel definire l’identità (se non altro visiva) dell’oggetto-disco; dall’altra, abbiamo l’esempio classico di quei dischi che recuperano a mo’ di illustrazione opere già esistenti e in origine completamente slegate dal medium musicale – ad esempio la mela di Magritte sulla copertina di Beck-Ola del Jeff Beck Group o la famosissima banana di Warhol per i Velvet Underground. Tu, Vittoria, a quale attitudine ti senti più vicina?
La risposta è scontata dal momento in cui chiedo all’artista di definirmi il suo lavoro in un colore, quindi appartengo senza dubbio alla prima categoria. Se prendi un lavoro già edito e lo metti su una copertina suona decorativo. Quando ti commissionano un’opera, specialmente nel caso di un lavoro in cui l’immagine è il primo impatto verso il contenuto artistico di un’altra persona, è il biglietto da visita che spinge un potenziale acquirente al suo ascolto, hai una grossa responsabilità verso il cliente. Poi va anche detto che è un falso mito quello che tutto sia adattabile alla forma quadrata; se hai già realizzato un lavoro, ad esempio un quadro o una tela con ricamo, in un’altra forma, non è detto che questa possa essere ricondotta al quadrato. Ci sono troppe variabili da considerare nel riadattamento di un’opera già edita.

Vittoria piscitelliCome nasce questa idea di lavorare per sottrazione nel lavoro “Litigare” di Petrella, utilizzando delle foto dell’artista e stapparle alla buona e riattaccarle tramite scanner. Quale messaggio si cela dietro ciò?
L’annosa questione del pop ai giorni nostri è: mettiamo o no la faccia del cantante sulla copertina? Se non la metti affatto risulti provocatoriamente troppo indie, se la metti interamente sei Valerio Scanu. Già questo dubbio denotava l’esigenza di un art-work che riuscisse ad essere in perfetto equilibrio fra i due estremi, a ciò bisognava sommare il fatto che per Davide questo è il primo lavoro da solista, quindi il suo manifesto d’ingresso in questo mondo in nuove vesti, quindi non ci potevamo permettere di annullarlo completamente. Così si è optato per la formula “nasconderlo per mostrarlo di più”. Quella che si vede sulla copertina è una polaroid trascinata ad effetto con un vecchio scanner i cui vetri non vengono puliti da almeno un anno. Il risultato è assolutamente analogico, in un mondo in cui il digitale è così totalizzante.

Vittoria, ti faccio una domanda provocatoria: nell’epoca dello streaming il ruolo dell’art director è diventato più semplice o – proprio per la tendenza a non comprare più i CD da parte della massa – il suo ruolo è ancora più importante?
Da un lato è più difficile perchè c’è davvero tanta concorrenza in giro; per farti notare devi padroneggiare bene con l’arte grafica. Dall’altro lato invece è sempre molto stimolante, è una sfida tra l’alto contenuto concettuale e la creazione di post ad alto potenziale di condivisioni.

Sempre sullo streaming: adesso le copertine risultano essere un agglomerato di pixel. Artisticamente parlando che differenze ha generato nel tuo lavoro dover pensare anche a questo e non solo alla realtà fisica del supporto?
Progettando un lavoro cerchi di creare un prodotto che funzioni in entrambi i mezzi. Io – e non mi stanco mai di ripeterlo – sono un’artista analogica, il mio lavoro puzza sempre di pittura e di grafica. Fermo restando che non mi dimentico mai completamente del lato virtuale.Vittoria piscitelli

Cosa bolle nel pentolone di una artista così eclettica come te, per il prossimo imminente futuro?
Dopo “Tutto questo l’ho fatto per te” ho chiuso per un po’ con le mostre. Sto andando a mia volta in giro per vernissage ed esposizioni altrui, guardando film, svuotando la mia testa per far sì che sia libera per il prossimo futuro. Sto studiando molto e mi sento particolarmente attratta dal Rococò di Boucher, Fragonard e non è detto che il Settecento francese non entri nei miei prossimi lavori.

Vittoria ti saluto con un appello a un’artista per cui ti piacerebbe lavorare come art-director?
Adorerei realizzare un artwork per i Baustelle. Mi piace molto Bianconi e tutta la band. Sarebbe il mio grande sogno attualmente.

 

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