Carmelo Pipitone, chitarrista e cofondatore dei Marta sui Tubi, della superband internazionale O.R.K. e membro della neonata band Dunk, insieme a Luca Ferrari dei Verdena e ai fratelli Giuradei, è riuscito a sfruttare la sua fiamma creativa incessante per riuscire a produrre contemporaneamente abbastanza materiale per dare alla luce anche la sua prima pubblicazione da solista, in cui sonorità e testi tratteggiano un lavoro sanguigno e dirompente, in cui l’originalità compositiva di Carmelo Pipitone giunge immediata all’ascolto. Scambiamo quattro chiacchiere con lui, su Cornucopia e molto altro
Ciao Carmelo, il tuo album d’esordio solista si chiama Cornucopia, come il famoso canestro dell’abbondanza. È una metafora artistica che ti raffigura come il “contenitore” di molteplici progetti che ti vedono coinvolto?
Ciao a te Fabiana, in realtà per me la cornucopia è più in involucro che un contenitore. È la necessità di far confluire tante cose di me in questa patina che li può contenere, cose artistiche quanto personali.
Un album composto da otto brani brevi, diretti, senza grandi giri di parole. Testi quasi urgenti, che genesi hanno?
In realtà questi brano formano quasi un concept album, la testimonianza del mio passaggio da ragazzo ad adulto. È arrivato all’età di quarant’anni e posso dire che proprio in questo anno sono calati dei filtri che ho avuto per i trentanove precedenti. Adesso mi rendo conto che ci sono delle situazioni grottesche nel mondo, vicende quasi amare, e le riesco a vedere così come sono, senza edulcorarle. Mi rendo conto che spesso i vicoli che percorro sono pieni di merda, in senso lato ovviamente, e non posso far finta che non sia così, non più. Questi testi sono proprio la traccia di questi filtri che con l’età adulta ho lasciato che cadessero.
Per quanto riguarda il sound invece è un ritorno al passato, alle atmosfere dei primi “Marta sui Tubi”, in una mixology di progressive d’avanguardia e folk. È così?
Beh sono il chitarrista e cofondatore dei Marta, insieme a Giovanni Gulino, non poteva che essere evidente la loro traccia. Nello specifico questo album è grosso modo la continuazione del primo album della band (ndr: Muscoli e dei), che nasce come collage di testi scritti da me ed altri da Giovanni. È lo stesso mood di quel disco, ma essendo stato concepito nel 2003, avevo ancora quei filtri e una visione immatura del mondo. Adesso in Cornucopia il mood è lo stesso ma i testi sono nella versione adulta di me.
Ma nonostante i miei quarant’anni ti risulta che sono sempre un figo della madonna?
Assolutamente sì. Sulla copertina dell’album, nella vasca da bagno col pannolino mostri proprio tutta la maturità dei quaranta in effetti (ndr: ridiamo)
Veramente quella copertina nasce originariamente come il simbolo di una rinascita che parte proprio da Cornucopia. Ma la situazione è diventata paradossale quando sono stato contattato da molte persone adulte con la perversione per i pannolini, erano convinto fossi uno di loro. Poi ho scoperto essere una perversione attestata, detta infantilismo parafilico, ma la cosa mi ha lasciato un attimo sconcertato.
Torniamo seri, sei stato premiato come miglior chitarrista acustico nel 2009, e l’album in effetti vede la predominanza della chitarra acustica e qualche accenno di batteria. La chiave della tua arte è nello slogan “more is less”?
L’unico modo che ho sempre avuto e che ho di esprimermi è attraverso la chitarra. È quasi un prolungamento del mio stesso braccio. In futuro mi piacerà sicuramente cimentarmi in qualcosa di nuovo, come ad esempio lasciare che ciò che scrivo io venga suonato da altri strumenti. Sì questa è una cosa che mi stimola parecchio.
Nel brano “Vertigini a cuore aperto” diventano chiare le premesse dell’album, cioè un dialogo fra te e un ipotetico Dio. Nella frase “al signore mai non dire, il sapere spesso è un danno”, sembri descrivere la società attuale in cui il sapere è sempre più alla mercé dell’odio, diventando quasi un accessorio…
Più che altro nella realtà dei giorni nostri facciamo leva su cose che non fanno parte del nostro essere, cioè animali, perché quello siamo. Utilizziamo strumenti tecnologici come fonte di sapere, di ricerca sia in senso assoluto che di noi stessi e degli altri, l’essenza è quella che stiamo davvero perdendo e la stiamo rendendo accessoria.
A proposito di sapere opzionale, odio e quindi razzismo, in “Come tutti” racconti la storia di Karim, un immigrato, con un cammeo in siciliano. Tu, da isolano, il fenomeno lo vivi molto da vicino, che ne pensi delle vicende di cronaca ed attualità degli ultimi mesi?
Quel brano è l’unico degli otto che non porta la mia firma, ma nasce da un testo di Alex Boschetti, che – mentre ero già in fase di produzione di Cornucopia – mi ha proposto di musicare questo suo racconto, e l’ho fatto molto volentieri, al punto da inserirlo nell’album, perché per me quello scenario, quel tema, è la quotidianità. La gente da sempre scappa dalla guerra, dalla fame, da sempre, non solo negli ultimi anni. Adesso però questo fenomeno è strumentalizzato per motivi politici, è diventato quasi “il” problema di uno stato. Io, in quanto isolano appunto, posso dirti che noi siciliani ci siamo arricchiti culturalmente da questo passaggio di vite, di etnie, di radici, di usi e costumi diversi. La contaminazione ha sempre valorizzato i vari popoli.
Con i Marta sui Tubi nel 2013 hai calcato il prestigiosissimo palco del Teatro Ariston di Sanremo. Sarai al corrente della polemica che ha investito Baglioni, tuo collega e direttore artistico della kermesse, per aver risposto ad un giornalista ed aver detto la sua sull’emergenza migranti. Senti di schierarti al suo fianco, o comunque al fianco dell’artista veicolo di messaggi sociali?
Ma di che stiamo parlando? Lungi da me difendere Baglioni, ma ha detto una cosa sacrosanta nei contenuti, oltre che la sua opinione. Dall’altra parte abbiamo quello che definirei senza mezzi termini “il regime”, che non lascia la libertà di espressione alle persone, artisti e non. Se davvero, come si è detto, Baglioni sarà licenziato solo per aver espresso un suo pensiero, per altro in risposta ad una domanda, non di punto in bianco, il piano di totalitarismo sarà già ad un punto avanzato.
“
Dio è morto” diceva Nietzsche. Il tuo come sta?
Il mio lo sto ancora cercando in realtà, ma ho la certezza che non esista, che finisca tutto in questa vita. Come dico nel mio brano “Attentato a Dio”, lo sto aspettando per sparargli, ma fino ad adesso non si è ancora palesato alla mia porta.
Pescando nella tua cornucopia, quale sorpresa dovremmo aspettarci per il prossimo futuro?
In realtà non saprei, sicuramente non ci sarà un “Cornucopia 2”. Questo primo progetto era un modo per affacciarsi alla finestra e vedere cosa ci fosse là fuori. Il futuro è incerto da tutti i punti i vista, ma sicuramente proverò a portare in essere il progetto di cui ti accennavo prima, cioè di far musicare ad altri mie opere. Vediamo cosa succederà.
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