È uscito venerdì 27 Settembre il quarto album dal titolo “Dinosauri”, di Tommaso Di Giulio.
La passione per le parole lo ha sempre accompagnato nel suo percorso, sia come cantautore, che come autore per altri cantanti o per spettacoli televisivi.
Tommaso Di Giulio è indubbiamente figlio della così detta “Scuola romana”, che ha sfornato cantautori come Senigallia, Fabi, Silvestri e Gazzè. Proprio con Gazzè, Tommaso ha avuto occasione di collaborare scrivendo e duettando con lui in “Disordine d’aprile”.
Nell’intervista che segue, traspare l’essenza di un artista che non si è mai accontentato di rimanere in superficie, andando sempre alla ricerca di qualcosa che fosse degno di essere raccontato.
È anche per questa attenzione e per l’integrità che lo muove nello scrivere che non ha mai amato scendere a compromessi, non avendo timore di farsi da parte nel momento in cui rischiava di non riconoscersi in quello che stava facendo.
Ora, Tommaso Di Giulio è tornato con un nuovo album, composto da otto brani, che racconta la vita di tutti i giorni, l’amore e la musica, in maniera mai banale e siamo certi che sentiremo ancora parlare di lui…
INTERVISTA
Ciao Tommaso,
il tuo quarto album è “Dinosauri”, come hai scelto questo titolo?
È una parola che contiene tanti concetti; da un paio di dischi a questa parte, mi piace cercare una singola parola che ne racchiuda tante, che esprima una linea di pensiero: è stato così per Lingue ed è così per Dinosauri.
Ho scelto il titolo Dinosauri, in quanto creature ormai estinte ma che continuano ad affascinare tutte le generazioni. Per rimanere un po’ più connessi a un senso di critica e anche di disillusione che traspare in alcune canzoni, i dinosauri sono un certo tipo di persone (mi ci metto dentro anche io) rimaste fregate da un’ipervelocità del tempo che scorre, con una serie di passaggi obbligati che non tutti sono portati ad accettare. Alcuni preferiscono l’estinzione!
Il tuo album è un’occasione per riflettere sul mondo che ci circonda, partendo dalla quotidianità, per allargare lo sguardo verso ciò che stride nella nostra società. Puoi raccontarci come nascono nello specifico le canzoni dell’album?
Non c’è un metodo preciso e matematico, a volte le canzoni nascono da un pensiero che ho voglia di sviluppare in canzone, a volte da una da una linea melodica o da un giro d’accordo e, a volte, da quello che osservo quando sono in giro o semplicemente sul divano di casa, non c’è una regola precisa.
È la fortuna e la sfortuna di fare musica e scrivere canzoni: banalmente, a fine giornata, uno raccoglie e assimila tante istanze differenti e farne una canzone aiuta a mettere a fuoco anche la propria prospettiva di lettura di un fatto, di un momento, di un’emozione o di uno stato d’animo.
Scrivere canzoni è una pratica antropologica. È un modo di fare osservazione partecipata, non rimanere passivi davanti alla realtà che ci circonda… Le canzoni possono essere anche questo.
La cosa divertente dell’album è che, malgrado i contenuti concettuali siano di un certo spessore, hai voluto accostare delle atmosfere musicali funk, soul…addirittura ballabili, che quasi stridono con il concetto che vuoi esprimere nel testo. Perché questa scelta?
Perché credo nei contrasti e nelle contraddizioni, quindi, se si parla di qualcosa che non è lineare e binario, acceso/spento ma un pochino più complesso e fatto di sfumature, anche la canzone deve andare in quella direzione.
Ho sempre cercato di fare un lavoro sui testi, forse anche in modo maniacale e, dato che spesso dicono cose pesanti, mi sembrava stupido o, quantomeno, meno interessante, dire la stessa cosa anche con la musica e viceversa.
Se il brano si propone di essere particolarmente leggero dal punto di vista narrativo, siccome non è mai tutto così semplice, mi viene spontaneo rendere un pochettino più denso l’arrangiamento musicale.
È una pratica che fa invecchiare un po’ meno le canzoni, non me la sono inventata io e, purtroppo, non va tanto di moda da un po’ di tempo a questa parte. Ora si cerca di semplificare al massimo per chi ascolta qualsiasi cosa, sia dal punto di vista testuale che musicale, ma i miei punti di riferimento purtroppo sono altri e, quindi, mi è spontaneo fare come facevano quelli che mi piace ascoltare.
A questo punto ti devo chiedere chi sono i tuoi punti di riferimento…
Senza voler millantare alcuna filiazione, parentela o eredità, credo che una delle cose migliori che siano successe all’Italia, e non parlo solo di musica, sia Franco Battiato.
Battiato per me è sempre un faro luminoso inarrivabile, che mi spinge, ogni volta, a chiedermi: ma avrò fatto il massimo per questa canzone? C’è ancora qualcosa che sfugge alla cura del dettaglio?
Inoltre, nel mio DNA c’è la scuola Romana negli anni 90, Fabi, Silvestri e Gazzè sono l’esempio di quella cosa che dicevamo prima, cioè riuscire a mescolare una canzone con un ritornello cantabile e un ritmo ballabile, con concetti testuali non particolarmente leggeri.
Nella musica dei nomi che abbiamo citato c’è freschezza, lucidità e soprattutto la voglia di non accontentarsi, che altrove invece è dilagante. È questo quello che voglio fare anche io con la mia musica, non accontentarmi mai!
In un certo momento hai pensato di smettere di fare il cantautore, o meglio penso sentissi l’esigenza di allontanarti dal palco…
Ho continuato a scrivere per altri e avevo in mente di smettere di scrivere canzoni per me e di eseguirle dal vivo anche per motivi che, in qualche modo, sono emersi in questa chiacchierata.
Io sono sempre dell’idea che sia colpa nostra, poi, si può avere più o meno fortuna o strutture che ti sostengono…
Non credo ai cliché della società o del pubblico, sono parole che io odio, come detesto le semplificazioni che poi rendono incapaci di valutare anche cose di fondamentale importanza come un programma elettorale.
Vedo dilagante la semplificazione anche nella musica che si è assoggettata ad un pubblico votato alla stanchezza e alla voglia di non entrare nel profondo di una proposta alternativa, come non era mai capitato di vedere.
Dieci anni fa c’era una diversità nella scena musicale con mille livelli: da underground a super ben stream, che aveva mille scalini. Oggi ce ne sono tre.
Per fortuna, sin da quando ero molto giovane, ho sempre scritto per altri media e lavorato come autore televisivo e sceneggiatore, quindi non avevo il problema di accantonare completamente la creatività.
Ho solo valutato che a me fare musica deve piacere e devo sentirmi bene quando scrivo canzoni, perché è un atto psicanalitico, perché consegno una bella fetta del cuore di stomaco agli ascoltatori, perché lo faccio per entrare in connessione con gli altri e per uno scambio energetico. Nel momento in cui percepisco che questo scambio energetico è compromesso o non è pari o corrisposto, allora preferisco farmi da parte elegantemente senza prendermela con nessuno.
Per fortuna, o purtroppo, la vita, come dicevamo nella prima domanda, porta esperienze anche gigantesche che valgono per tutti: io ho la canzone come arma per capire un po’ chi sono e dove sto andando, quindi sono uscite fuori canzoni nuove molto spontaneamente e quando sono arrivato a una dozzina, ho pensato di farne un disco nuovo perché se lo meritano.
Ho avuto la fortuna di trovare persone valide che mi hanno seguito in questo percorso perchè è un momento storico in cui anche solo il concetto di “disco” è compromesso di per sè.
L’artbook è stato realizzato da una tua piccola fan di soli 14 anni e vede protagonisti i Dinosauri immersi nelle difficoltà della nostra quotidianità. Che effetto ti fa aver “allevato” con le tue canzoni questa piccola artista?
Giulia Scherani è l’artista che ha realizzato tutte le grafiche e l’artwork del disco, quindi tutte le immagini che accompagnano le otto canzoni e la copertina.
Dietro c’è, però, una bella storia, è vero, che mi ha insegnato a credere e puntare sulle belle connessioni.
Conosco Giulia da quando era piccolissima perché la mamma Cristina è diventata una mia sostenitrice tanti anni fa e spesso portava con sé le bimbe, all’epoca molto piccole, in giro per l’Italia, ovunque io suonassi. Poi, per lungo tempo non ci siamo più sentiti, perché ho voluto prendermi una pausa che credevo definitiva; mi ero proprio isolato anche sui social, quindi avevamo perso i contatti.
A volte i segni del destino arrivano in forme inaspettate: un giorno Cristina mi ha mandato, così, per curiosità e per sapere cosa ne pensassi, dei disegni di Giulia. Il disegno era straordinario e non ci crederai ma, per pura casualità, rappresentava due velociraptor fatti in modo super verosimile. Nel frattempo ho scoperto che Giulia è diventata una disegnatrice provetta, che frequenta la Scuola di fumetto.
Mi è sembrato un allineamento di costellazioni.
A quel punto ho detto alla mamma che avevo un disco nuovo pronto, dal titolo Dinosauri, e le ho chiesto se Giulia avesse piacere a collaborare. Entrambe sono state molto felici ed è nato un bellissimo viaggio, in cui io le raccontavo le suggestioni che mi venivano in mente sulle canzoni e lei le trasformava immagini che adesso circolano online e tra poco verranno stampate sul vinile.
L’unica prerogativa era che i protagonisti delle micro storie che sono sintetizzate da Giulia fossero dinosauri. Ed eccoci qui!
Per ogni cosa c’è un posto
ma quello della meraviglia
è solo un po’ più nascosto
(Niccolò Fabi)