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Il poeta della sperimentazione: intervista a Pier Cortese

by Alessia Andreon
Pier Cortese

Pier Cortese è tornato, e dopo il recente “Tu non mi manchi”, è uscito “È per te” il secondo singolo del poliedrico e versatile artista romano che, negli ultimi dodici anni, si è principalmente dedicato all’attività di autore e produttore artistico, collaborando con personaggi del calibro di Niccolò Fabi, Fabrizio Moro, Marco Mengoni, Simone Cristicchi, Roberto Angelini e molti altri.

Quella di Pier Cortese è, da sempre, una personalità sfaccettata e creativa, costantemente alla ricerca di nuove sonorità e proiettata al futuro.

Queste peculiarità emergono chiaramente anche nel suo nuovo singolo, del quale ci siamo fatti raccontare i retroscena più intimi, come solo le parole di Pier potevano fare…

Ciao Pier, è appena uscito il tuo secondo singolo che anticipa l’uscita di un disco nel prossimo autunno; puoi raccontarci come nasce questa canzone che fonde l’elettronica alle sonorità africane?

In realtà sono tutte mie elucubrazioni, miei esperimenti quotidiani, che faccio ormai da qualche anno; come un buon artigiano, aggiungo, tolgo un elemento, limo… Nel caso specifico di “È per te” il brano ha un’attitudine un po’ ancestrale e tribale, all’interno di una sonorità elettronica.

Alla canzone, di fatto, serviva un messaggio, un elemento che avesse a che fare con l’attaccamento alla terra, forse anche un inizio, qualcosa che avesse a che fare con il calore, che portasse in sé l’esigenza di un messaggio, di una dedica, di un abbraccio alla parte più fragile delle persone, soprattutto in questo momento storico del mondo e dell’umanità.

Tutti questi elementi si combinano in “È per te” per dare ancora più enfasi al significato della canzone.

La mia idea di questa canzone è un abbraccio ideale a chi ti ascolta… In questo periodo di carenza di abbracci, quanto è importante per la tua musica essere carezza?

Che bello, grazie! La musica, secondo me è uno degli antivirus più potenti; più che mai in questo momento c’è bisogno della musica, che ha la grandissima possibilità, insita nella sua natura, di abbracciare senza toccare; il mio obiettivo era rilasciare queste emozioni in giro per il mondo, senza la possibilità di doversi necessariamente avvicinare. Penso che sia davvero un momento fondamentale per la musica da questo punto di vista.

Non so se consapevolmente o inconsapevolmente io abbia scelto, dopo 12 anni di silenzio, proprio questo periodo per riavvicinarmi, in buona parte a me stesso, ma soprattutto alle persone, per dare loro una carezza.

Tra l’altro la canzone è diventata subito una challenge perché è una ballata corale. Te l’aspettavi?

La cosa curiosa è che, effettivamente, poi questa canzone è talmente trasversale, per quanto riguarda le persone che l’hanno apprezzata, che ha avuto una parabola di piacere che non mi aspettavo, onestamente.

L’ intenzione era quella di far sì che diverse generazioni si incontrassero in questa canzone per stringere una sorta di patto di alleanza, per guardare al futuro. Mi fa piacere che la challenge sia figlia di questa cosa: ho ricevuto un sacco di testimonianze danzerecce che, appunto, univano le famiglie quindi, da questo punto di vista, è stato molto bello e divertente.

A me personalmente piacciono tanto i tuoi incisi….

Quello è proprio un mio vizio! Già dai tempi di “Souvenir” c’era una voce fuori campo…

Ho sempre avuto la sensazione che la canzone dovesse avere anche un linguaggio cinematografico.

In questo caso la favola dal sapore dolce e amaro che racconti è scritta da te?

Sì, è una storia un po’ curiosa perché in genere faccio a meno di stare dietro alla struttura classica /canonica della canzone, alla metrica: strofa, ritornello… Per me la canzone è un viaggio sonoro dove, all’interno, può succedere qualsiasi cosa che, si spera, abbia senso lungo tutto il percorso emotivo, dall’inizio alla fine. In quel momento avevo bisogno di un ulteriore racconto nel racconto, e la sovrapposizione narrata sottolinea un aspetto importante della canzone.

Proprio mentre stavo scrivendo questa canzone sono rimasto veramente a bocca aperta davanti al discorso di ringraziamento, durante la notte degli Oscar, di Joaquin Phoenix.

Mi sembrava il perfetto finale per quello che stavo scrivendo, ho preso il discorso integrale e l’ho messo sul finale della canzone remixandolo e facendogli un contesto sonoro adeguato e la cosa era meravigliosa, bellissima… Poi purtroppo ho provato a chiamare a Beverly Hills, a scrivere mail, però non c’è stato verso di avere la possibilità legale di utilizzarlo. Ero veramente molto angustiato e depresso perché mi ero abituato a quel racconto all’interno della canzone senza tenere conto di questo particolare che, si è scoperto, non essere un dettaglio da niente. Alla fine, preso da una serie di capovolgimenti emotivi, ho scritto questa storia, che mi sembrava comunque molto pertinente.

L’intenzione era quella di consegnare alla prossima generazione il futuro che noi non siamo stati in grado di maneggiare con la cura necessaria e di guardare nella maniera giusta.

Altra difficoltà è stata trovare chi la narrasse perché, purtroppo, in questo periodo si fa fatica anche a stringere collaborazioni, quindi ho chiamato mia figlia e le ho chiesto se le andava di rappresentare la sua generazione dato che lei ha 10 anni.

Facciamo un balzo indietro a “Tu non mi manchi”. Come mai hai scelto due canzoni così agli opposti, eppure così complementari nel viaggio ideale della tua musica?

Sono molto d’accordo, perché sono emotivamente molto diverse però sono anche della stessa famiglia. Volevo dare due sfaccettature diverse, due stati d’animo diversi, però trattati con lo stesso linguaggio. Sono entrambe figlie di un certo tipo di ricerca sonora, di un certo modo di innestare la voce all’interno del brano.

La prima metteva in evidenza alcuni aspetti un pochino più disagiati, che avevano anche un tipo di melodia, più cupa, più dark, almeno apparentemente, entrambe hanno all’interno un messaggio di speranza che gioca un ruolo fondamentale.

Nella seconda invece, anche se apparentemente leggera e ballabile, il testo è in netto contrasto con la musica, essendo più di denuncia. Rimane sempre la costante del tema trattato con un’energia e con uno spirito diverso.

Le tue parole sono sempre scelte con cura, non sono mai lì per caso…

Esatto, anche le parole, hai detto bene, le scelgo per essere innescate in un meccanismo di suono, in modo che possano entrare nel linguaggio anche musicale di un certo tipo.

Ogni parola si porta dietro un’atmosfera, un suono, un’immagine e quindi quando la scelgo, il suono della parola stessa è molto, molto importante, anche se la stessa cosa può essere rappresentata da parole diverse. Faccio una selezione delle parole che possono essere sempre molto dirette e molto emotive, questa è la cosa fondamentale. La mia urgenza non è il suono della parola ma il significato, poi faccio un’ulteriore selezione per innestarle come le ho in testa, in un linguaggio sonoro che sicuramente non è un linguaggio già sentito.

Esplorando territori nuovi mi prendo il rischio anche di maneggiare le parole con una cura diversa.

Penso che andrebbe insegnata a scuola questa canzone!

Ti ringrazio, ma lo sai che mi hanno scritto anche delle insegnanti dicendo che alle scuole medie avrebbero lavorato sulla canzone!

Io me lo auguro, lo dico come se non fosse una cosa mia, nel senso che le canzoni quando escono da casa non sono più tue, quindi ne parlo davvero in maniera molto accorata; spero che sia così perché secondo me può avere delle possibilità di unione, di alleanza, molto importante.

Per chiudere ti volevo chiedere qualche anticipazione sul disco….

Ti posso dire che prima dell’uscita del disco vorrei fare un percorso, che finirà a ottobre, facendo uscire altre due canzoni/idee da ascoltare, come tappe di avvicinamento al disco stesso.

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