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Iastimo si racconta in “Tutto normale” – INTERVISTA

by Alessia Andreon
Iastimo (foto Teresa Pulitanò) 10

Iastimo declina il concetto di normalità nel suo nuovo album dal titolo “Tutto normale“, prodotto da Farina e pubblicato da Orangle Records.

Tutto normale“, traccia che dà il titolo all’album, racconta la vita vissuta da Iastimo, dove tutto è assolutamente non normale, ma lui l’ha sempre affrontata come se lo fosse, ripercorrendo anche la sua infanzia in un ambiente prettamente femminile a seguito dell’abbandono del padre.

La penna del rapper messinese, infatti, è solita affrontare temi scomodi direttamente legati alla sua storia personale, in primis la disabilità, puntando il dito verso la società e la politica, che poco si occupano di questa “anormalità”, lasciando così soli tutti quelli che vivono questa situazione.

Un album dove l’hardcore cupo e malinconico si intreccia con sonorità lounge che traggono ispirazione dal jazz e da un certo tipo di Hip Hop.

Filo conduttore delle collaborazioni presenti nel disco con Moskillz, Jareed e Fantomas, è la comune provenienza da Messina dei tre esponenti della cultura Hip Hop che, per volere di Iastimo, esprimono anche tre punti di vista diversi, a seconda della loro generazione di appartenenza, come Iastimo ci racconta nell’intervista che segue.

INTERVISTA

Ciao Giuseppe,
l’album si apre con un mix di due pezzi che affrontano la disabilità in modi differenti: “Capocomico/Zoppo”, uno più cinico e l’altro più consapevole. Penso rispecchino entrambi quello che vivi quotidianamente…

Esatto, in “Capocomico” volevo essere un po’ cattivo, utilizzare la condizione di disabilità con quella comicità triste tipica dei capocomici appunto, mentre “Zoppo” doveva rispecchiare la parte reale della mia vita, anche se c’è ugualmente tanta ironia: descrive tutti quei gesti quotidiani e tutto ciò che devi affrontare quando hai una disabilità, che per me sono diventati la normalità, ma non dovrebbero esserlo o non lo sono per chi mi vede.

In “Alfabeto denso” dici che per superare i limiti “la musica è il linguaggio universale già dall’incipit”. Scrivere ti ha aiutato a farti sentire?

Ho iniziato a seguire l’Hip Hop che avevo 14-15 anni, quindi circa 30 anni fa,  e tutto quello che ruotava intorno a questa cultura era una denuncia, non sapevamo bene di che tipo, però stavamo denunciando qualcosa quando andavamo a fare le scritte sui muri, quando provavamo qualche passo di break dance…ci sono arrivato dopo, verso la fine degli anni 90 a scrivere rap.

Denunciare, in quel momento, non era il mio modo di vivere la disabilità, probabilmente all’inizio volevamo solo esprimere i concetti della gioventù che vivevamo, non voler essere per forza come tutti gli altri.

In “Alfabeto denso” quello che più salta all’occhio è il fatto che maturando e crescendo in questo periodo, le differenze tra noi e i giovani, è ancora più ampio, è ancora più difficile entrare in comunicazione con i giovani o con quelli più grandi di noi; nonostante la poetica e tutte le differenze linguistiche, la musica è il linguaggio universale, quindi quello dovrebbe bastare per mettere in comunicazione tutti nel senso più ampio del termine, anche tutti nel mondo.

In “Tutto normale” che dà anche il titolo all’album dici “Ho vissuto questa vita come fosse normale”. In realtà è una canzone di denuncia contro la politica e la società, così come “Bravo Presidente”: in quale frangente ti sei sentito più trascurato in questi anni?

Credo che, di fondo, ci sia un senso di non appartenenza, la sensazione di sentirsi isolati, che non è solamente dovuto ad una disabilità ma è un problema della politica, che non ha mai trovato dei modi per poter risolvere delle situazioni e, invece, ha sempre alimentato lo scontro.

Sembra che si divertano a mettere zizzania più che dare delle risposte ai problemi.

La traccia “Tutto normale” contiene sicuramente un concetto di denuncia politica e sociale, però c’è anche tanto di me. C’è un Giuseppe che racconta di essere cresciuto senza padre, con tre donne (mamma, zia e nonna) e anche su quel frangente cerco di parlare alla società e di sdoganare il fatto che non c’è nulla di male se un bambino cresce con due donne, con due uomini, con una donna e un uomo che non siano i suoi genitori…

Sono cresciuto in un momento strano dell’Italia, con una famiglia abbastanza complicata ed è “Tutto normale”, per me.

Da “Cerebro” in poi c’è un cambio di sound, che di volta in volta alterna musica retrò, violoncello malinconico, piano jazz, beat minimal. È una scelta stilistica dettata dall’esigenza di far emergere maggiormente i testi?

Ho sempre ascoltato tutta la musica che, secondo me, era apprezzabile, dalla bossa nova al Jazz, alla musica italiana cantautorale; tra l’altro, una delle nostre vecchie produzioni si chiamava proprio “Soul searching” per richiamare certe atmosfere americane.

Siamo sempre stati legati ai suoni anni ‘80 e a quello che era l’Hip Hop di quegli anni, dove sono presenti anche i violini, quindi sotto l’aspetto musicale volevamo rievocare le nostre passioni: in “Scalino”, per esempio, si sentono anche dei rumori di bicchieri per creare un certo tipo di ambientazione, tenendo sempre fisso l’aspetto cupo dell’hardcore, ma cercando anche di rinnovarci.

Nell’album hai voluto dare anche uno sguardo nostalgico al passato nel rap anni ’90 con l’aiuto di Jareed e Fantomas. Erano artisti con cui avevi già collaborato?

Tutti i miei featuring nascono più dall’amicizia che dal mero aspetto musicale, che sia funzionale o no all’album.

Tranne che con Moskillz, con cui non avevo mai fatto nulla, la caratteristica è che siamo tutti messinesi e ci conosciamo da sempre.

In questo disco ho voluto unire l’amicizia e il forte rispetto, che nutriamo gli uni per gli altri, con le varie generazioni di appartenenza. Infatti c’è Fantomas, rapper attivo già dai primi anni ’90 nella band Fuori Fase, Jareed che ha la mia età, quindi siamo cresciuti insieme, e Moskillz che è il più giovane.

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