Home Approfondimenti Gestione delle risorse ed ottimizzazione del budget. Produttore Esecutivo: Romeo Grosso

Gestione delle risorse ed ottimizzazione del budget. Produttore Esecutivo: Romeo Grosso

by InsideMusic

Uno dei più grandi punti interrogativi sulla produzione di un disco e su tutto il viaggio che questo compie fino ad arrivare nei nostri supporti di riproduzione o sui palchi con il live di supporto è: ma chi gestisce le economie necessarie a predisporre e realizzare tutto ciò. Il “Produttore Esecutivo”, che con il “Produttore Artistico” – già ospite della scorsa puntata – ha in comune solo l’aggettivazione del verbo “produrre”. Sono due ruoli molto diversi che spesso vengono confusi e sovrapposti, così come viene confuso il ruolo del produttore esecutivo e del rappresentante o proprietario della label (prossimi ospiti). Il produttore esecutivo è una figura di raccordo tra il Produttore Artistico, l’artista stesso e la label; gestisce il budget, ascolta le esigenze dell’artista e ne confeziona un progetto portandolo a compimento. La sua figura si colloca così come la testa di centro fra le singole teste che rappresentano le professionalità individuali, è il collettore di questo processo produttivo così capillare. Ma senza procedere per simbolismi o definizioni iconiche, interpelliamo Romeo Grosso – socio fondatore della Alto Music di Bologna, producers di Daniele Silvestri, PFM, Maurizio Crozza e tantissimi altri – e della nuova Campo Nitido, già direttore artistico del sonicafestival di Bologna, e da vent’anni direttore artistico del Teatro Bibiena di Sant’Agata Bolognese, sempre a Bologna ed attualmente produttore esecutivo del nuovo progetto del nostro Tommaso Primo.

Romeo Grosso, chi è e qual è la storia professionale, qual è stato il percorso che ti ha condotto verso quello che fai oggi?
Questa è una domanda infinita. Il mio percorso professionale affonda nella notte  dei tempi, faccio questo lavoro dal 1989, quasi trent’anni insomma.Sono partito da un approccio artistico – musicale, da musicista in una piccola band, poi l’evoluzione in questo mondo è stata nel settore tecnico- logistico. Ho utilizzato quella che era la mia conoscenza dei tecnicismi del mestiere, dalle cantine in cui i registravano i demo le prime etichette cosiddette indipendenti, passando poi ad un ruolo organizzativo fino ad arrivare alla produzione esecutiva, mio attuale campo di azione professionale. Definire la produzione esecutiva ad oggi in Italia è difficile, è un settore molto nuovo, il produttore esecutivo è colui che sta tra il produttore artistico, che è l’imprenditore che investe, l’artista che vuole realizzare un prodotto squisitamente artistico, il mercato discografico ed il live, diventando così il collettore di un progetto che ha molte teste. La bellezza e la difficoltà di questo lavoro sta nel trovare la giusta sintesi economica , che però diventa anche sintesi artistica e commerciale. Un produttore esecutivo può essere coinvolto tout court nel progetto discografico, quindi dalla pre- produzione del disco fino alla programmazione del tour di live di supporto, come succede nel mio caso, oppure può essere scelto ad hoc per una sola sfaccettatura di questa filiera. Per tornare alla mia storia personale posso dirti che ho unito due percorsi di studi differenti, gli studi musicali in conservatorio e quelli giuridici all’università, ho messo insieme due passioni che si legano bene insieme, in quanto per fare questo mestiere la conoscenza contrattualistica, del mercato, di come si costruisce una società, è fondamentale, ed è una nozionistica che proviene dalla mia laurea.
Nel mio percorso professionale ho seguito molti progetti, ho collaborato con artisti del calibro di Max Gazzè e Daniele Silvestri su tutti, e ho diretto la produzione della PFM nel momento storico di riposizionamento sul mercato della band. Sono andato con loro in giro per il mondo, nei paesi in cui loro sono  molto forti, come Giappone, Messico e Guatemala, e sono venuto in contatto con l’artigianalità del mestiere. La professionalità dunque, così come l’esperienza, è nata ricucendo vari lavori, perchè questo è un lavoro che si impara ancora solo facendolo, è un mestiere con delle dinamiche talmente consuetudinarie, ricco di tante criticità in cui vanno conciliati due mondi agli antipodi: l’imprenditore che deve muovere grandi volumi di economie in un momento discografico così delicato e l’approccio artigianale del made in Italy.

Spiegaci bene questo concetto del made in Italy in discografia.
Vedi, dire “made in Italy” vuol dire “lavoro artigianale”, fatto con cura dei dettagli e dovizia di particolari. Nel mondo dell’indipendenza discografica si cerca – o si dovrebbe cercare – di mantenere questo approccio come caposaldo di produzione. È un brand l’italianità in un mondo musicale così europeizzato, così globalizzato. Riuscire a trovare un equilibrio fra la proposta musicale e la cura artigianale della sua realizzazione, con il giusto capitale a disposizione è la sfida del produttore esecutivo. Oggi comunque sia nel mercato noi ci troviamo a lavorare fianco a fianco con delle major che a loro volta hanno capito che – sicuramente essere una multinazionale ha dei vantaggi – ma ciò si scolla un po’ dal mercato esistente. Ci troviamo a dialogare tutti i giorni con quelli che un tempo erano concorrenti – cioè le major – di mercato, poichè siamo comunque una fetta di quest’ultimo che produce reddito. Fatta eccezione per grandi nomi, il mercato attuale è composto  da nomi indipendenti noti a livello territoriale  che non muovono grande seguito ma fanno  grandi incassi.

Questo avvicinamento delle major lo si vede già quando anche nelle produzioni indipendenti, loro se ne “accaparrano” la distribuzione…
Si ma la distribuzione è da sempre nelle loro mani, anche se quest’ultima ormai è una realtà residuale. Tu quando pensi ad un prodotto discografico immagini di lasciare sempre un qualcosa di fisico, un segno tangibile  del tuo lavoro, e questo è sicuramente l’album, la copia fisica, ma quest’ultimo non è ciò che crea economia ed entroiti. La possibilità di lasciare una traccia della tua arte è comprensibile, ma il grosso del lavoro  si fa con i live, con gli showcase, con i merchandising. Io penso che bisognerebbe iniziare a pensare alla discografia come ad una “industria musicale”, perchè sempre meno si dovrà distinguere fra discografia e live, ma sempre più si dovrà parlare di segmenti diversi della stessa industria. Nei tempi in cui viviamo la discografia, cioè l’oggetto fisico, è sempre più un supporto al live, ma si arriverà al momento in cui – soprattutto nelle piccole agenzie – si arriverà a considerare tutti questi settori come l’ossatura di un tutt’uno.

Parliamo di Tommaso, come sei entrato a far parte di questo progetto?
Sono entrato a far parte di questo progetto perchè ho collaborato sia con Arealive che con FullHeads per diverse altre loro produzioni – tra cui quella magnifica al Teatro San Carlo dei Foja, per il Napoli Teatro Festival – e da lì ci siamo conosciuti. In questo ambiente da parte dei produttori esecutivi c’è sempre una ricerca di professionalità adeguate al loro profilo, dall’altra parte c’è anche la voglia di trovare qualcosa di più fresco e innovativo, e io Tommaso lo trovo esattamente calzante rispetto a queste premesse. Il suo nuovo album è una sintesi perfetta tra quella che è la tradizione della musica napoletana ed un groove assolutamente contemporaneo. Sono finito in questo progetto perchè nella mia carriera avevo bisogno di una sferzata di novità, in questo momento Napoli è il centro più creativo d’Italia, bolle sotto al coperchio un grande fermento artistico, e questa è una innovazione. Negli anni se la sono sempre palleggiata Roma e Milano la scena indipendente del cantautorato, Napoli veniva vista come la sede della musica napoletana che poi ha prodotto i neomelodici, che anche nel rap ha prodotto molto essendone anche capostipite, adesso qualcosa sta cambiando. Si sta iniziando a togliere il velo mediatico sulla questione che tutto ciò che si produce qui o è neomelodico o rap, e si sta canalizzando l’attenzione verso il vero cuore artistico che pulsa nella città stessa, e nel suo atteggiamento verso la musica, che è singolare,  di gusto, di esecuzione, di intensità, poco stereotipato. Pur essendo una metropoli,  rispetto a Roma ad esempio, è pur sempre provinciale, e l’attenzione delle major non è così forte, ma questo che può sembrare un gap in realtà è un punto di forza perchè  ciò permette ai musicisti di questa città di continuare a sperimentare e dove c’è sperimentazione c’è avanguardia, con l’avanguardia si procede al cambiamento. Nonostante questa sia un’equazione molto semplice, dove c’è cambiamento c’è innovazione, e questa città ribolle di cambiamento. Tornando al mio rapporto rispetto a questo progetto, la scommessa in questi casi è anche l’iniezione di entusiasmo rispetto alle novità, requisito necessario per chi fa da trent’anni la stessa roba, la fa bene e spesso la fatica è più del gusto.

Se dovessi dirmi le tre principali qualità di un buon produttore esecutivo quali sarebbero e perché?
La prima qualità necessaria è che deve avere una visione del progetto sempre dall’alto, mai distaccata, deve affrontare il lavoro con l’impeto e l’assalto del fan e il distacco del ragioniere. Deve avere una buona elasticità sia mentale che nella ricerca delle soluzioni alle problematiche. La seconda cosa è avere una conoscenza approfondita dell’ambito in cui sta lavorando, iniziare a far sì che questo mestiere – che ha sempre bisogno di una forte dose di creatività – questa venga messa a sistema, e il sistema produttivo ha bisogno di trovare invenzioni sempre nuove per raggiungere il miglior risultato in tempi ragionevoli. La terza qualità – per quanto banale possa sembrare è prioritaria – è una grande passione per questo lavoro, che si antepone a tutto, alla famiglia, all’amore. Chi mi insegnava questo lavoro mi ripeteva sempre una massima che può riassumere l’attitudine verso questo ruolo: “qualsiasi cosa succede nel mondo, o intorno a te, ricorda che alle 21 si va in scena!”
Riassumendo: Duttilità, buona conoscenza del mercato, passione. É un mestiere sicuramente poco noioso perchè ti occupi sia di pratiche burocratiche, sia di legislazione che di situazioni artistiche, devi essere in grado di capire le esigenze dell’artista che deve realizzare un prodotto, quelle di un produttore che ha esigenze totalmente diverse da quelle dell’artista che vuole diventare famoso mentre lui vuole massimizzare i profitti. Il tuo ruolo è un collante fra questi mondi. Un’altra cosa molto bella – che pochi lavori ti permettono – è che riesci sempre a vedere i frutti del tuo investimento.

Sei proprietario dell’Alto Music di Bologna, società editrice indipendente, ma sei del sud. Quanto questa affinità culturale ha influito nella scelta di produrre un progetto in buona parte in lingua napoletana?
Per me è fondamentale essere del sud. Sono andato a Bologna diciottenne, per frequentare l’università, adesso che di anni ne ho quarantanove vivo ancora lì. È più il tempo che ho vissuto a Bologna che al sud, nel mio paese che è lucano. Essere del sud è un fatto caratterizzante, fondante, ideologico, politico, di appartenenza, di sapori. Il dialetto napoletano ha un valore assoluto ed è la lingua della canzone italiana. Ovunque nel mondo, dal Messico al Giappone, se si pensa alla canzone italiana si cita o si canta “’O sole mio”. In questo momento io sfido chiunque ascolti una canzone in inglese a capirne il senso senza leggere il testo, in maniera immediata, e la sfida con il napoletano è analoga. Questa è una lingua che ha una grande espressività, ha più musicalità dell’inglese ed è la colonna fondante della musica italiana nel mondo. Io sono del parere che l’intenzione è tutto nella vita, se l’intenzione dunque è quella di innovare, la lingua è un di più, se poi vogliamo vederla dal punto di vista conservativo, la lingua napoletana è ciò con cui italiani e stranieri almeno una volta si sono confrontati, e ciò va tenuto in debito conto. Per un po’ di anni noi stessi del sud ci siamo dati contro, invece abbiamo un’identità molto forte e dobbiamo tenercela stretta. Nella fattispecie la scelta di aderire al progetto artistico di Tommaso nasce da ciò, ed egli in questo disco sceglie il mezzo espressivo migliore cantando parte in italiano e parte in napoletano, ma se Primo fosse stato di Bergamo e avesse avuto delle cose valide da dire in bergamasco, lo avrei appoggiato lo stesso.  Tornando a Napoli, è importante che quello che nasce qui si proietti fuori regione ma porti ricadute come studi di registrazione, agenzie, professionalità a trecentosessantagradi nella città, solo allora avremo fatto la nostra piccola rivoluzione. Al raggiungimento di un buon livello di carriera, noi che abbiamo deciso – per esigenze o per scelte – di investire in crescita e formazione al nord, dobbiamo iniziare a restituire qualcosa alla nostra terra, la stessa che ha prodotto delle economie da parte dei nostri genitori col loro lavoro, che noi siamo andati a spendere fuori. Lasciare qualcosa in eredità in termini di economia, di idee e di know- how, che è la cosa che manca di più e che si sta cercando di costruire, ai posti che ci hanno generato, è necessario, facendo così un passo sia per l’industria musicale e artistica in generale al sud sia alla nostra eticità.

Da giovane del sud che sta iniziando ad approcciarsi a questo mondo, e che spesso si sente isolata da chi questo mestiere già lo conosce, questa tua missione etica mi ha molto colpita, non da tutti e non è banale che una professionalità così aulica e di successo come la tua metta la sua esperienza a servizio dei giovani e senta così forte il bisogno di restituire il suo sapere alla sua terra…
Non è banale ma è un dovere farlo, se non altro perché qualcun altro lo ha fatto con me. Ho conseguito gli studi in giurisprudenza ed al conservatorio e mi sono serviti, ma ciò che più mi è servito è stato lavorare a contatto con chi questo mestiere già lo conosceva. Quando andavo a fare l’aiutante dell’aiutante del direttore di produzione del primo spettacolo a Bologna e non conoscevo ancora nulla, c’era un ragazzo dell’entourage che stava al mio fianco e mi guidava, insegnava e mi faceva anche sbagliare, facendomi arrivare in fondo e facendomene rendere conto da solo. Ho avuto persone che mi hanno trasferito il loro know- how ed ancora oggi – nonostante l’esperienza pregressa – non smetto di imparare dagli altri, soprattutto da voi giovani. Sono cambiate molte cose nella progettazione degli spettacoli in questi trent’anni, soprattutto grazie all’avvento delle nuove tecnologie, adesso anche per il solo rendering hai bisogno di ragazzi che si mettano di fianco e ti spieghino l’uso del mezzo. È sempre un doppio binario: chi ha una certa tranquillità economica e di carriera deve saper stare in mezzo ai giovani e cedere molte delle sue competenze e chi impara questo mestiere può e deve riuscire a dare continuità al tuo lavoro. Prendiamo i teatri dell’ottocento, suonavano tutti in maniera perfetta perché c’era una continuità nell’insegnamento del lavoro, di padre in figlio, erano coinvolte intere famiglie in questa attività, e ciò garantiva una attitudine al lavoro e una perfetta riuscita dello stesso. Ad un certo punto però questo passaggio di know – how si è interrotto, e il teatro è andato in crisi. Questo vorrei non accadesse più.

Come avviene la selezione dei progetti da seguire per la Alto Music?
Innanzitutto l’Alto Music è una società che ormai viaggia con una tipologia di progetti che negli anni si è legata al teatro e ai progetti per la musica e la gioventù e viaggia su questo fronte. Dalla stessa società è nata poi “Campo Nitido”, che è una società di produzione, e la sua selezione dei progetti nasce sempre dalla scelta dell’idea artistica o viceversa, quando il progetto nasce in sede, nasce da una idea più produttiva che artistica. Normalmente l’idea produttiva ha la sua genesi sempre da un ascolto e quindi da una suggestione, dopodiché lo si cala in una strategia di mercato. Le società non sono enti benefiche ma aziende, quindi l’idea artistica di partenza bisogna farla diventare un progetto economico. La Alto Music che produceva Daniele Silvestri, la PFM, Cristina Donà, si è concentrata sempre più su un segmento più definito facendo venir fuori una specializzazione sull’infanzia che era il ramo molto strutturato e ricco di tecnicismi e ciò produceva alla società un indotto economico sempre maggiore.  Per non tralasciare gli altri progetti produttivi e non disperdere professionalità tecniche della Alto Music è stato necessario creare una società spalla che si occupasse di altre direzioni produttive. La selezione dei progetti per entrambe le società è la stessa: si parte dalla bontà del progetto artistico e si valuta la sua fruibilità rispetto al mercato attuale.

A proposito di risorse, nella gestione del capitale da predisporre per un progetto discografico quali parametri vanno considerati?
Si parte sempre dal mercato, il budget di mercato si fonda su macro voci che poi vanno divise all’interno di sotto voci. Un esempio di macro voce è la “produzione del disco”, le sotto voci sono “lavoro di scrittura”, “budget di arrangiamento”, “produzione artistica” ecc. Ogni giorno facciamo un resoconto, vediamo se ci sono degli esuberi da reinvestire nella cifra preventivata dal budget di mercato. In questo caso parto dal venduto dello scorso anno, capisco quale è stato, sulla base di quello predispongo una quota di investimento per il nuovo progetto perché Tommaso è un artista in crescita, se ha guadagnato dieci lo scorso progetto, adesso non posso predisporne otto, bisogna investirne venti per capire dove puoi posizionarti sul mercato.

Se dovessi riassumere – in una battuta – il ruolo del produttore esecutivo quale sarebbe?
Non lo faccio per piacere mio, ma per quello del buon Dio” (ndr: Risate). Io penso che è un mestiere veramente bello ed entusiasmante che ti consente di stare sempre a contatto con la parte più creativa ed aperta di questo Paese. È un lavoro per quanto faticoso, è così appassionante, che sembra che non stai lavorando mai.

A cura di Fabiana Criscuolo

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