Eclisse twist: l’Ep che esplora il senso del mestiere del cantautore, secondo Guidobaldi

di Alessia Andreon

Eclisse Twist è il nuovo EP del cantautore romano Guidobaldi, frutto di un periodo fortunato che lo ha visto lavorare intensamente sulla sua concezione di cantautorato.

Tutto è partito lo scorso anno, quando ha vinto il contest LazioSound, che gli ha dato la possibilità di lavorare in studio sul brano “Bandiere” e di partecipare allo Sziget Festival di Budapest.

Il titolo Eclisse twist fa riferimento al dualismo che domina l’album, con un mood a tratti più rock e brillante, che guarda esplicitamente all’Inghilterra, come nei brani Londra a mezzanotte e Nei guai, alternato a brani dai toni più cupi, in cui si riflettono le paure e fragilità di un uomo e un artista alla soglia dei trent’anni, come Bandiere, Eclisse twist, Per sempre non è.

L’ispirazione è arrivata dalla canzone cantata da Mina e scritta dal regista Michelangelo Antonioni, per il suo film “L’Eclisse”, che fa parte della tetralogia di film incentrati sull’incomunicabilità nelle relazioni.

Il lavoro di Guidobaldi si è, quindi, innestato nel solco tracciato da Antonioni per creare una track list coerente, che analizza la società e il cantautorato moderno, senza risparmiare qualche critica alla sua stessa categoria….

Abbiamo intervistato Guidobaldi che ci ha raccontato meglio il suo nuovo Ep.

Eclisse twist è l’insieme delle esperienze maturate in questi anni sul palco e di riflessioni sul tempo che passa. Come è cambiato Guidobaldi, nel tempo?

È un lavoro che parte da una ricerca.

Ho pubblicato il mio primo disco nel 2021 e poi mi sono preso del tempo per capire quale potesse essere la mia direzione.

Dopo tanto girare, credo di essere tornato di nuovo al punto di partenza, ma con una maturità diversa, con la consapevolezza di aver cercato di fare di tutto per avere un’evoluzione effettiva.

Le origini di questo progetto, come mi è capitato spesso di raccontare, sono i viaggi in macchina con i miei genitori quando ero piccolo; questa è una costante che torna sempre nel tempo, perché le mie ispirazioni più grandi sono radicate nella musica italiana degli anni 60 e i Beatles, nonché la musica d’oltre manica dei primi anni del 2000. 

Questo album è la somma di tutte queste influenze, che ho cercato di rendere nel miglior modo possibile, cercando di creare qualcosa di nuovo.

Vorrei iniziare a parlare dei brani dell’Ep dalla fine, cioè da “Bandiere”, che pone degli interrogativi sul ruolo del cantautore nella società odierna con la frase: siamo gli ultimi romantici. Tu che tipo di cantautore ti senti?

“Bandiere” è l’ultimo pezzo dell’EP, ma in realtà è il primo che ho scritto e che ha dato il via alla produzione dell’Ep, perché l’ho realizzato tramite il premio di Laziosound dell’anno scorso.

Proprio per questo motivo, “Bandiere”, come dicevi, è il centro di questi due anni di lavoro, anche per i temi che tratta.

I cantautori, spesso, si dimenticano dell’importanza che ha la propria musica, vista non solo in quanto intrattenimento, ma anche per quanto riguarda una certa presa di posizione nei confronti della realtà che ci circonda.

Bandiere” parla proprio del fatto che, nel momento in cui ci mancano dei riferimenti a livello culturale, abbiamo due opzioni: o rimaniamo nella nostra bolla, oppure cerchiamo di raccontare anche la realtà.

La frase “siamo gli ultimi romantici”, in questo senso, è una provocazione perché, a volte, ci piace rimanere ancorati nel nostro mondo, ricordando i bei tempi andati, piuttosto che affrontare il presente.

È un romanticismo malato e, per questo, ho deciso di parlarne apertamente in una canzone perché, forse, era la cosa migliore dal punto di vista cantautoriale.

L’Ep si destreggia tra suoni rockeggianti e ballad romantiche e queste due anime convivono sia nei testi che negli arrangiamenti. Ti piace dare sempre una visione dualistica della realtà?

Ci sono due anime e devo dire che Eclisse twist, che è stata l’ultima canzone che ho scritto e che ha dato il nome all’interno lavoro, è arrivata nel momento giusto e unisce questi due mondi.  

Quando avviene l’incontro delle dualità succede qualcosa di magico come l’eclisse e l’Ep riflette esattamente questo…

Ciò che più mi affascina è che queste due personalità fanno comunque parte della stessa penna e dello stesso pensiero e originano sia pezzi più brillanti che altri un po’ malinconici.

In questo Ep ci sono diversi accenni alla tutela del pianeta e alla precarietà dei rapporti, come nel brano “Nei guai”. Come ti rapporti tu a questi temi?

Esatto, è quello che succede, molto spesso, quando ci si confronta con l’altro: si parte da un primo approccio in cui si conosce solo una parte del nostro essere e ci si giudica anche. Poi, approfondendo i rapporti, ci si scopre molto simili o, magari anche, all’opposto, più fragili di quello che vogliamo sembrare.

“Nei guai” racconta di due persone che sono state insieme per un periodo e poi si rincontrano e si scoprono completamente diverse, perché la vita li ha messi nei panni dell’altro, senza neanche saperlo.

Tutte le canzoni dell’Ep sono legate dal fil rouge della precarietà dei rapporti.

Guardare dall’altra parte vuol dire non interessarsi dei rapporti e non approfondirli.

Se però nella vita viene a mancare lo scambio con l’altro, forse si tratterà di una vita meno felice…

Tra l’altro, per quanto questo Ep porti il mio nome da cantautore solista, dietro c’è stato un lavoro collettivo e quindi credo che sia la manifestazione più giusta di questo approccio.

Le due coprotagoniste indiscusse dell’album sono le città che fanno da sfondo alle vicende che racconti: Londra e Roma, che rispecchiano perfettamente anche il mood dell’album. Ci avevi fatto caso che anche qui c’è un dualismo?

Roma e Londra, come dicevamo prima, mi permettono di unire la musica inglese e la musica italiana degli anni 60, che rimanda alla Roma felliniana, anche se poi il mio riferimento cinematografico in questo lavoro è stato Antonioni.

È stata una bella sintesi riuscire ad unire i punti perché spesso, nei dischi, si rischia di tirare fuori tante cose, diverse tra loro, che poi difficilmente riescono a dialogare mentre, in questo EP, ho preferito dare una coerenza ai brani, che sono tutti collegati tra loro.

Parlando prettamente a livello musical: Roma è la città in cui sono nato, sono cresciuto e quindi ci sono legato visceralmente; Londra è la città dove la mia musica vivrebbe bene.

L’immagine di Roma che esce dall’Ep è un po’ estiva, un po’ deserta, quella che si sveglia di notte, quando facendo una passeggiata in centro si incontrano dei personaggi mitologici.

Anche “Londra a mezzanotte” inquadra lo stesso momento di quiete notturna: ecco perché, nella mia idea, le due città dialogano e sono molto simili.

Difficilmente trovi due città nel mondo che siano così affini anche a livello urbanistico, pur nella loro diversità.

Dato che, lo scorso anno, grazie al Premio di Laziosound, sono stato allo   Sziget Festival di Budapest, spero di poter portare la mia musica a Londra in futuro…

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