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Defeater, recensione dell’album omonimo

by InsideMusic
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Oggi 10 maggio arriva Defeater, il quinto album della band omonima, uscito per Epitaph.

Ci siamo all’uscita di “Defeater”, il quinto lavoro in studio dell’omonima band melodic-hardcore di Boston out il 10 maggio 2019. In attività dal lontano 2004, il gruppo torna a produrre dopo una pausa forzata resa necessaria da problemi  familiari, di salute e di dipendenza da sostanze stupefacenti che hanno interessato i componenti, nonché dall’espulsione dello storico chitarrista Jason Maas. Con una discografia che conta all’attivo 5 album in studio, 3 EP e 3 singoli, i Defeater potrebbero essere definiti quasi una sorta di “concept band”: ogni produzione risulta infatti essere il tassello di un articolato mosaico, necessario per andare a ricomporre la storia di una sventurata famiglia della classe operaia del New Jersey nel difficile periodo del secondo dopoguerra. Nei vari dischi immessi sul mercato i riflettori si spostano di volta in volta su di una diversa figura legata a questo nucleo familiare, analizzata con cura e resa al meglio attraverso i testi dei brani. L’album di debutto “Travels“, ad esempio, riprende il punto di vista del figlio minore, in fuga dopo aver assassinato il padre nel tentativo di difendere la madre. L’album in uscita rappresenta però una svolta a livello narrativo, in quanto pone l’attenzione sulla famiglia Glass, chiaro omaggio del vocalist Archambault ai personaggi di J.D. Salinger. Caratterizzato da una gestazione più lunga dei lavori precedenti (dovuta anche alla dispersione dei vari membri della band impegnati in progetti paralleli in giro per l’Europa), “Defeater” vanta anche la collaborazione del produttore e ingegnere Will Yip, che contribisce ad affinare ogni singolo pezzo e ad incrementarne il potenziale.

Tracklist e Artwork di Defeater, Defeater

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1. The Worst Of Fates
 2. List & Heel
 3. Atheists In Foxholes
 4. Mothers’ Sons
 5. Desperate
 6. All Roads
 7. Stale Smoke
 8. Dealer / Debtor
 9. No Guilt
10. Hourglass
11. No Man Born Evil
Atmosfere oscure e pesanti accolgono l’ascoltatore alla riproduzione dell’album, che con il brano di apertura “The worst of fates” mostra fin da subito le sonorità aggressive proprie della band, caratterizzate da forti distorsioni, lievi dissonanze e
una voce al limite dello scream. Il secondo brano, “List & Heel“, vira invece verso un timbro più melodico, reso dall’arpeggio di chitarra che accompagna tutto il pezzo, a cui poi si contrappongono i ritmi concitati garantiti dalla batteria galoppante di
Atheists in Foxholes“. Più distensivo il quarto pezzo dell’album, “Mothers’ Sons“, a cui però non manca la grinta garantita da una voce pungente e dal basso distorto, in alcuni punti molto rilevante. A seguire troviamo “Desperate”, pezzo più riflessivo caratterizzato da un’intro di chitarra riverberata e solitaria, a cui subentrano quasi in sordina gli altri strumenti, per poi aprirsi insieme alla voce nel ritornello. Nel sesto brano, “All roads” la batteria torna a farla da padrona, conferendo al pezzo un andatura serrata ma non eccessivamente aggressiva.
 La traccia numero 7 è “Stale smoke“, dalle atmosfere più cupe del precedente, che si apre con un breve intro di basso distorto a preparare il terreno agli altri strumenti, in particolar modo al riff ipnotico dettato dalla chitarra. Con “Dealer/debtor“, ottavo brano dell’album, si ritorna ad un ritmo frenetico di stampo vagamente punk, in contrapposizione ai pezzi antecedenti.
 Rullo di tamburi e basso pulito introducono il nono pezzo, “No guilt“, che dopo un intro vibrante e melodico cambia direzione e cattura l’ascoltatore con un intrigante riff di chitarra. Al decimo posto “Hourglass“, che con delle sonorità leggermente noise crea delle dissonanze che fanno da tappeto alla voce talvolta
riverberata ma sempre energica e piena . A chiudere l’album troviamo “No man born evil“, brano più lungo degli undici, caratterizzato da un alternarsi di foga e melodia, quasi come a voler riassumere il contenuto dell’intero disco.
In definitiva, “Defeater” risulta essere un album maturo, variegato ed energico, in cui la spinta e il carattere della band si fanno sentire ma lasciano anche spazio a momenti di riflessione e di distensione. Un lavoro che, sicuramente, verrà apprezzato dai fan e dagli amanti del genere.
Formazione:
Derek Archambault (voce)
Jake Woodruff (chitarra)
Adam Crowe (chitarra)
Michael Poulin (basso)
Joe Longobardi (batteri
Luigi Izzo

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