Una voce chiara, come il suo nome, e un piglio deciso nel parlarmi di “La fame” il secondo album di Chiara Vidonis.
L’album di compone di otto tracce che segnano il ritorno sulla scena indipendente italiana della cantautrice di Trieste, dopo l’esordio nel 2015 con “Tutto il resto non so dove”.
Un disco che arriva a otto anni di distanza dal precedente e segna un nuovo percorso per Chiara Vidonis, che si è misurata nei testi con dei temi importanti e talvolta scomodi, senza timore reverenziale.
INTERVISTA
Ascoltando il tuo “La fame” direi che unire l’attenzione per i testi con i suoni più rockeggianti è la tua cifra. Come hai scelto questo nuovo percorso?
Certi percorsi non si scelgono: c’è un’urgenza creativa di base e in qualche maniera si cerca di soddisfarla. Penso che sia un po’ così per tutti: ognuno nella bella vita ha un percorso che non sceglie più di tanto razionalmente…
Quando si parla di esigenza di comunicazione, di tirar fuori quello che c’è dentro di noi, credo che lo facciamo in maniera non totalmente cosciente.
La mia via è stata quella della musica, forse per una casualità, avendo iniziato a suonare sin da piccola e ha coinciso con ciò che mi piaceva fare.
Un mestiere impegnativo quello della cantautrice indipendente….
È impegnativo tutto quello che è una scommessa, perché non sai mai se verrà recepito e accolto dalle altre persone, che poi è ciò che uno spera facendo dei dischi.
Ci sono dei rischi dietro ogni scelta di questo tipo, è un salto nel vuoto, soprattutto in questo periodo in cui l’autoproduzione che ci piace fare sicuramente ti rende più indipendente: poter essere libera di decidere sempre quello che è il percorso, che in genere coincide con quello che ho bisogno di comunicare… Non riuscirei mai a sopportare di rispettare delle scadenze oppure delle forzature.
È questo il motivo per cui ho fatto passare un bel po’ di anni tra il primo e il secondo (sette anni). Me la sono presa con calma e sono consapevole che è un lusso, che va però a vantaggio del contenuto dell’album.
Seguendo quel sogno di bambina che suonava la chitarra sei arrivata al secondo album, a qualche anno di distanza da “Tutto il resto non so dove”…
Mi piace pensare che effettivamente l’elaborazione richiede un po’ di tempo.
Quello che non volevo assolutamente è che il secondo disco fosse la ripetizione del primo; che si mantenesse su un percorso già fatto.
Sono orgogliosissima del primo album e ho dei ricordi bellissimi di quel periodo, però mi piace anche essere stimolata dalla musica che faccio.
Con “La fame” ho cercato una strada del tutto diversa da quella più suonata e rock di “Tutto il resto non so dove”.
Anche la scelta di affidare la produzione a Karim Qqru dei The Zen Circus è stata dettata dalla voglia di cambiare e, infatti, la nuova linea risulta più elettronica e sintetica con tanto lavoro in studio dentro.
“La fame” implica molteplici interpretazioni. Di cosa ha fame Chiara ora?
Ho intitolato il disco “La fame” perché deve essere qualcosa che rimane sempre viva, indipendentemente da quello che la suscita.
È stato più un volermi ricordare di dedicarmi alla fame positiva, che fa crescere e ci nutre, non a quella che ci fa solo ingurgitare dei contenuti.
Esiste la fame fisica e quella dell’anima, della mente… quindi ho voluto fare di questo disco una sorta di promemoria: ricordati di avere sempre una fame che ti porta ad evolvere.
Nel momento in cui esce un disco, inoltre, c’è sempre la fame di poterlo portare in giro e di suonarlo, di nutrirsi di tutte le emozioni che vengono dall’incontro con le persone…
Sia “Talento naturale” che “L’inizio” toccano il tema della stima verso sé stessi e di quanto si è disposti a barattare per piacere agli altri. Tu ti sei sempre accettata o ci hai dovuto lavorare?
Grazie per avermi dato la tua visione di questi due brani, innanzitutto, perché mi interessa molto sapere quello che è arrivato del disco.
Per chi fa musica pop è sempre forte la componente dell’accettazione, la volontà di piacere ad un numero maggiore di persone, altrimenti si farebbe un altro genere, più di nicchia.
Non è sempre semplice rendersi conto che la tua musica non arriva a tutte le persone che speravi.
È un discorso complesso perché entra in gioco anche il concetto di successo, di fama, ma sono anche delle variabili da mettere in conto quando si decide di mettersi in gioco: non essere accettato, avere delusioni o illusioni. Devi far sì che non sia questo l’obiettivo che ti fa andare avanti.
L’accettazione è qualcosa che si deve trovare dentro, proprio per questo ho deciso di slegarmi da tante dinamiche dettate della musica più commerciale; onestamente non sarei in grado di sopportarle a livello caratteriale.
Nell’album affronti anche il tuo rapporto con la religione. È stato naturale per te trattare un argomento così intimo?
Ho sentito proprio l’urgenza di tirar fuori quella che è stata la mia esperienza con la dottrina religiosa Cattolica e ho notato che, in effetti, molte persone tra i trenta e i quarant’anni, hanno avuto la mia stessa esperienza.
Parlo della religione Cattolica perché ne ho avuto esperienza diretta ed è un peccato che in un periodo delicato, di crescita, come l’adolescenza, la religione non riesca ad essere un supporto per l’essere umano.
Ho voluto parlare quindi di quel sentimento di solitudine che si prova davanti ai grandi dubbi, del senso di colpa…
La religione dovrebbe farci capire che non siamo soli, che quello che sentiamo e proviamo è collettivo invece, spesso, è proprio il contrario.
“Lontano da me” è una sorta di monito per te stessa. Quanto migliora la vista allontanandosi per conoscersi?
Io credo che sia necessario allontanarsi in qualche misura da sé stessi, scrivo canzoni anche per questo!
Magari scrivo e poi, riascoltandole, mi fanno capire parti di me che non avevo ancora chiare.
È come se le vedessi con il distacco necessario per conoscermi un po’ meglio.
In generale nel disco trovo tanta forza, quella che forse solo noi donne abbiamo nel saperci salvare. Tu come ti sei salvata?
Mi sono salvata molte volte quando mi sono sentita sola. perché è una condizione che mi fa star male e mi dà uno scossone che significa che c’è qualcosa che non va.
Come dice il grande cantautore Colandrea: “Prometto di sentirmi meno solo, che soli non è come Dio comanda”. È una frase splendida per la sua semplicità: io mi sono salvata ogni volta che non ho più voluto sentirmi sola.
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Per ogni cosa c’è un posto
ma quello della meraviglia
è solo un po’ più nascosto
(Niccolò Fabi)