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Quando la cumbia incontra il Polesine: intervista a Banadisa

by Paola Pagni

“SUERTE” è il disco d’esordio di BANADISA, nuovo progetto musicale in cui la cumbia elettronica incontra le rive del fiume Po, dando vita a una sperimentazione sonora che fonde ritmi e atmosfere del Sud America con la matrice cantautorale italiana.

Quella di Banadisa è una ricerca umana e artistica che approda a un sound fatto di cumbia elettronica e surrealismo polesano e a una fusione costante tra diversi mondi. Da qui nasce il concept dell’album “SUERTE”: la creazione di un ponte tra un iper-localismo, quello del Polesine espresso principalmente attraverso testi paesaggistici, fantasiosi e surreali, e un sound trans-oceanico, aperto al mondo, che arriva fino in Sud America e si lascia ispirare dalla cumbia e dai ritmi folklorici, per fonderli con un approccio “cantautorale”, più vicino alle produzioni indipendenti italiane contemporanee.

Il risultato è un disco autentico, libero ed eclettico, che fissa dei confini molto ampi e che restituisce una gamma di colori molto variegata, tanto nella parte musicale quanto nella parte testuale, con l’intreccio del cantato in italiano a parti in lingua spagnola (castellano).

Durante questa intervista Banadisa ci ha spiegato come due mondi apparantemente così lontani si possano fondere perfettamente nel suo progetto musicale, che fa convivere nebbia e cumbia, in atmosfere sospese nel tempo.

Intervista a Banadisa

Suerte arriva al culmine di un viaggio di 4 anni, che ha avuto diverse tappe temporali fino ad oggi: come mai questa lunga gestazione?


“Suerte” ha avuto bisogno di così tanto tempo per essere creato, composto e prodotto perchè mi sono approcciato a strumenti ed atmosfere musicali a me sconosciute fino a quel momento (2016): musicalmente nasco da sonic youth, nirvana, shellac, e in tempi più recenti mi sono appassionato alla scena indie italiana… ne va da sé che il salto per arrivare al folklore elettrico, alla cumbia digitàl ed altre sonorità “tradizionali” (influenze di cui tutto l’album è intriso) ha richiesto molta pazienza, a partire dalla fase di ascolto e ricerca fino ai primi tentativi sperimentali di abbozzare qualche traccia.

Si presume che in questo tempo, soprattutto considerato cosa è successo negli ultimi due anni, il tuo punto di vista sulle cose e sul mondo possa essere cambiato: questo si riflette anche nel disco?


In “Suerte” c’è una sorta di atemporalità, di surrealismo, di fantasia che sfugge al presente, di emozioni profonde ed autentiche che sono stratificate in me e che io esprimo nei testi attraverso le immagini paesaggistiche del Polesine, terra nella quale sono nato e cresciuto (e vivo): è come se tutto fosse sospeso dalla frenetica quotidianità e dall’ansia del futuro che avanza. Per risponderti quindi ti direi di no, il disco non ha risentito di questo periodo pandemico, sia appunto per le caratteristiche intrinseche della produzione artistica di cui ti parlavo, sia perché (in maniera molto più pragmatica) l’80% del lavoro a Marzo 2020 era già concluso.
 

Continui a riconoscerti in tutte le canzoni di Suerte oppure, visto quanto dicevamo prima, da alcune ti senti più lontano?


Assolutamente sì, mi riconosco in tutte le canzoni di “Suerte”, e anzi per fortuna continuo ad emozionarmi nel cantarle. Questo è un buon segno.

Mettere insieme la cumbia elettronica col polesine suona come una bella sfida: quali sono, se ci sono, gli elementi di contatto tra queste due realtà secondo te?


Parlare di cumbia è come parlare di rock: ce n’è per tutti i gusti. La cumbia che piace a me è quella più ruvida, percussiva, legnosa, folklorica, oscura, selvaggia ed onirica (ti citerei come esempi Dengue Dengue Dengue e Chancha Via Circuito). Io credo che il Polesine sia tutto questo: selvaggio, a tratti oscuro, onirico, legnoso; sovrapporre queste due realtà mi è sembrata una pista di lavoro intelligente e sensata da seguire, ma allo stesso anche naturale e non forzata. Questa intuizione mi ha dato la possibilità di sperimentare con certe sonorità ma allo stesso tempo di definire una mia personalissima reinterpretazione del genere, fondendolo con un approccio più cantautorale, che è da sempre parte di me.

Mi ha incuriosito tantissimo DIMMI DOV’ERA (abbracciato a una nutria): di chi o di che cosa parli in questa canzone?


Immaginati le chiacchere al bar di paese tra due soggetti che parlano a proposito di un terzo personaggio.
Il testo ruota attorno proprio a questa figura: un personaggio che si stanca di quanto tutto debba essere sempre così inesorabilmente complicato. Si stanca di accettare come dato di fatto che ogni giorno sia sempre l’alba di una nuova battaglia. Lui è un tipo semplice e forse anche un po’ svogliato… e allora ad un certo punto, senza pensarci troppo, prende su le sue quattro cose e, percorrendo una strada che costeggia un fosso, se ne va. Non chiedermi dove, non lo so. Se lo stanno ancora chiedendo anche i tizi al bar.
 

Cumbia nella nebbia invece è un pezzo tutto strumentale, che però forse è la massima sintesi tra i due mondi che dicevamo prima: cumbia elettronica e rive del Po. È così? Per realizzarlo hai usato effetti sonori o strumenti particolari?


Come dicevo poc’anzi ci sono molti modi di fare e di intendere la cumbia (per fortuna!). “Cumbia nella nebbia” è la mia risposta, è il mio personalissimo modo di interpretare la cumbia: molto percussiva, con suoni molto “veri”, crudi e legnosi, mentre a livello melodico aleggia un’atmosfera rarefatta, surrealista, anche a tratti oscura. La cumbia che piace a me è così, e volevo farne una canzone che fosse una sorta di manifesto cumbiero di Banadisa. Per fare questo brano (ma in generale un po’ per tutto il disco) ho cercato di usare quanti più strumenti percussivi “veri”, cioè acustici, evitando di usare sample o campioni sintetici di suoni.

Stai pensando già a come portare questo lavoro e questi suoni live?


Certo! Ormai sono mesi che siamo alle prese con la preparazione del live. Dico “siamo” perchè ad accompagnarmi dal vivo ci sarà il mio bellissimo Clan composto da Fed Nance (nonché produttore dell’album) con il suo drum-set, Clara Andrés alla voce e Marcello Martucci alle percussioni. Tra le molte opzioni che avevo per presentare questo lavoro dal vivo, ho scelto di dare risalto alla parte ritmica; infatti il palco sarà pieno di fighissime percussioni!
Per quanto riguarda il mio ruolo, sul palco, oltre a cantare e gestire la parte elettronica, intervallerò accompagnamenti ritmici ad accompagnamenti con la chitarra.
Sta venendo una vera bomba!  Sono molto contento del risultato e non vedo l’ora di fare quanti più concerti possibile!

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