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Intervista ai Maranuda, tra cantautorato ed elettronica

by Adriana Santovito

Martedì 22 settembre è uscito Carne, il nuovo singolo dei Maranuda, il duo bresciano formato da Simone Pedrini e Max Berardi. Carne arriva dopo il successo di Giganti, singolo rilasciato a fine luglio che ha già raggiunto 86mila ascolti su Spotify.

Leggendo la vostra bio mi ha colpito un particolare davvero interessante. Chi conosce un po’ la scena musicale bresciana avrà avuto sicuramente modo negli anni di vedervi dietro al bancone di un bar a preparare cocktail o a lavorare dietro al palco poiché è dal backstage che arrivate. Dunque, cosa vi ha spinto a salirci su quel palco?

“La realtà è che tutto è invertito.” Cit.

È stata la passione per la musica e per i live che ci ha spinti a lavorare in questi contesti. Stare a contatto costantemente con addetti ai lavori ci ha dato dato la possibilità di conoscere, capire, imparare cose di un mondo che ci affascina da sempre.

Giovedì 24 settembre, proprio in occasione dell’uscita di Carne, il vostro nuovo singolo, vi siete esibiti dal vivo al Belleville di Paratico (BS). Com’è il vostro rapporto con la dimensione live? Raccontateci di più di questo evento.

Pensiamo che il palco e la dimensione live siano l’habitat naturale di ogni musicista. Tutto quello che facciamo lo facciamo nella speranza di poterlo suonare dal vivo poi, questo vogliamo fare. Il Belleville di Paratico è un posto a noi molto caro e proprio in occasione dell’uscita del nuovo singolo abbiamo deciso di festeggiare tra amigos la ripresa dei live. Abbiamo avuto il piacere di condividere il palco con Daniela Savoldi al violoncello con la quale abbiamo proposto brani nuovi e vecchi riarrangiati per l’occasione. È stato veramente figo tornare a suonare dal vivo dopo così tanto tempo!

Siete un duo dal 2010. Amate mescolare due generi musicali apparentemente diversi: il cantautorato e la musica elettronica. Com’è nata questa unione e come avviene il processo di sperimentazione quando vi approcciate alla produzione di un nuovo brano?

In realtà succede tutto in modo molto naturale, siamo cresciuti ascoltando i generi musicali più disparati. Restiamo legati all’ambito cantautorale nella fase di composizione e di scrittura, mentre i nuovi mondi elettronici e più sperimentali subentrano in fase di arrangiamento e produzione. Negli ultimi anni il panorama musicale ci sta offrendo ascolti molto stimolanti e ci piace giocare di volta in volta con ciò che più ci ispira.

Il vostro EP d’esordio, Zero, è uscito circa quattro anni fa. Cosa è accaduto nel frattempo e come si sono evoluti i Maranuda, artisticamente parlando?

Abbiamo sempre cercato di rappresentare ciò che ci ispira nel momento in cui scriviamo, senza troppe sovrastrutture o vincoli. Zero era nato così, in poco tempo e in un periodo in cui stavamo mettendo in discussione i nostri orizzonti musicali. Dopo le date promozionali abbiamo deciso di collaborare con Lorenzo Caperchi e Brown Barcella del TUP Studio per lavorare a nuovi brani. Ancora una volta abbiamo rimescolato le carte e in modo naturale abbiamo collaborato a nuove canzoni. Più che di evoluzione ci piace pensare ad una continua metamorfosi.

Torniamo a Carne, il vostro nuovo singolo. “Le destinazioni mi fregano sempre, c’è poco da fare/Guardami, inseguo orizzonti che sembrano mani/Mi toccano e sporcano le idee/ accarezzano, spingendomi lontano/Voglio sentire di più, voglio poterti trovare/ma sei nel ricordo giù nero, la casa delle paure.” Un testo sicuramente significativo. Raccontateci di più di questo brano e della sua genesi.

Carne è nata qualche anno fa, lavorando su un testo già esistente che non volevamo lasciar cadere nel nulla. Quando ci siamo trovati ad arrangiare la versione definitiva che abbiamo poi pubblicato abbiamo capito che era una canzone per noi molto significativa. Questo brano ha a che fare con la riscoperta di noi stessi dopo aver fatto i conti con le nostre trappole. A volte ci serve far esplodere quella parte di noi che ci tiene legati a un “luogo” che non ci appartiene, può essere un rapporto, un lavoro, una situazione, un ricordo… È un po’ la rivalutazione del caos come forma di liberazione.

Domanda d’obbligo. Che progetti avete per il futuro? E, soprattutto, pensate che la musica possa assicurarvelo un futuro, data la precarietà in cui versa il settore?

Guarda, il futuro non lo sappiamo ma tu non hai idea di quanto eravamo precari prima. Scherzi a parte, abbiamo intenzione di continuare a pubblicare il lavoro fatto in questi anni in studio nella speranza di riuscire a farlo ascoltare dal vivo a più persone possibili e nel frattempo scrivere nuovo materiale. Siamo consapevoli del fatto che la scena musicale sta subendo e subirà grandi cambiamenti causati da questo periodo buio; crediamo che la nuova sfida sarà proprio quella di riadattarsi a questi mutamenti che porteranno sicuramente a mettere in discussione la figura stessa del musicista. La verità è che ci piace così tanto suonare che poi tutto passa in secondo piano (nonostante le preoccupazioni).

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