Altro protagonista indiscusso degli Oscar 2018 è stato il crudo Tre Manifesti ad Ebbing , Missouri, di Martin McDonagh. Candidatura alla miglior colonna sonora ottenuta anche dal compositore Carter Burwell.
Passiamo dunque dal languido sognare di The Shape of Water alla frontiera americana ed ai suoi insospettabili segreti, alle tragedie più cupe; ad una storia fatta di sangue, violenza, omertà, ma anche coraggio. L’incipit è semplicissimo: Mildred, il premio oscar Frances McDormand, decide di far affiggere dei manifesti fuori dalla sua cittadina, Ebbing, nel punto dove la figlia adolescente Angela è stata prima stuprata, e poi uccisa, per smuovere le autorità nella ricerca dell’assassino. Purtroppo, ciò che ottiene è un pugno di mosche e l’odio, lo sconcerto, lo scandalo, di tutta la quieta cittadina americana. Nelle infinite, perse, agorafobiche lande del Missouri, si svolgerà un intreccio che trascinerà nel turbine degli eventi anche il poliziotto Jason, un magistrale Sam Rockwell con un dubbio senso della giustizia. Tre enormi manifesti, scritte nere su sfondo rosso sangue, come dei tremendi e feroci indici, che puntano al senso di colpa e alla coscienza di tutti gli abitanti dello sputo di città quale è Ebbing.
Mildred, amazzone fuori dal suo tempo e dalla sua terra, è rosa dal senso di colpa per aver permesso che accadesse ciò a sua figlia; il contrasto fra la fierezza, la durezza, l’orgoglio della donna, ed il suo abissale dolore interiore, è ben espresso nella colonna sonora di Carter Burwell, fidato collaboratore del regista McDonagh. Laddove The Shape of Water era un ordinato puzzle dalle tinte rosa e azzurre, Tre Manifesti ad Ebbing , Missouri è dotato di una colonna sonora in netta contrapposizione con la materia trattata: suoni crepuscolari, aleggianti, quasi spettrali a volte. È una musica adatta per il funerale di uno sconosciuto morto in battaglia, per un’anima senza nome persa nella pioggia svanita da questo mondo per un tragico scherzo del destino, per una serie di eventi concatenati senza senso alcuno. Come le spighe di grano si muovono nel vento, seguendo ondulazioni e traiettorie che nessuno, in realtà, ha mai deciso. È la manifestazione dell’animo di Mildred, oltre le sue battute sporche, oltre la rabbia, oltre la maleducazione, oltre le parolacce, oltre quell’ex marito che va a letto con una ventenne.
Mildred Goes to War è l’incipit, e porta con sé tutto il senso di nostalgia per ciò che è stato perduto, il sarcasmo di una storia atroce eppure così piccola ed insignificante così come Ebbing è. Banjo e chitarra acustica, batter di mani, in un country lento e straziante. The Deer è un tuffo atmosferico, pur sempre minimal: un flauto a cantare lo strazio di una madre, che però prova un briciolo di gioia nel vedere un cervo pascolare nel prato in cui i suoi manifesti sono affissi. Lo stesso banjo interviene a riportare Mildred alla cruda realtà: quella in cui sua figlia è morta e non si sa chi sia il suo assassino.
I pezzi strumentali si intervallano a ballate country, che riportano l’atmosfera coheniana al suo posto: c’è quel tocco di disincanto di Johnny Cash in Buckskin Stallion Blues, brano di Townes Van Zandt del 1988. Un artista caduto nel dimenticatoio, un uomo delle Tennessee che suonava la chitarra e cantava con voce rauca. C’è qualche campanella, c’è il flauto di un nativo americano che rivuole le sue radici.
L’atmosfera torna oleosa ed opprimente con A Cough of blood, A Dark Drive. Fonde malinconia, piano, chitarra, in un paesaggio crepuscolare, in un cielo di tinte rosso sangue: la meschinità degli omini che si muovono in quello sfondo è palpabile.
Ad un certo punto del film, Mildred viene arrestata. Ed il tema iniziale viene ripreso con più energia e ricchezza strumentale per ricchissimi 40 secondi in I’ve been arrested, tutti banjo e chitarre ritmiche, campane a segnarne la fine. Fruit Loops è una struggente interpretazione all’oboe del tema di Mildred Goes to War, che si tinge di toni post apocalittici: perché è così il mondo interiore della protagonista. Tutto è morto, ma lei purtroppo è sopravvissuta.
Come prima, un’ironica ballata folk spezza la tensione: si tratta di His Master’s Voice, dei Monsters of Folk, supergruppo che pubblicò il brano nel 2009. Brano folk, unisce semplici arpeggi a cori delicati ed ad una buona orecchiabilità. Una perfetta descrizione di Ebbing.
Il momento più emozionante del film è descritto in Billboards on Fire: un’esplosione di percussioni e chitarra pizzicata, cui si sommano archi in accordi diminuiti, pianoforte oscuro, in una fusione che crea un’enorme tensione emotiva. L’angoscia in musica. Tutti soffriamo con Mildred, tutti capiamo i suoi manifesti. Tutti empatizziamo con lei. L’orchestra diviene folk in un bell’esperimento di Carter Burwell.
Sullo stesso filone, ma più calma, riprende Slippers, in cui chitarra e piano dialogo e si rincorrono nel tentativo di una comunicazione in un mondo sempre più in sfacelo.
È inclusa poi una gran chicca nella colonna sonora: Last Rose of Summer, poesia di Thomas Moore, poeta irlandese vissuto nel diciannovesimo secolo, ed interpretato dal soprano Reneè Fleming. In un inglese fluido e musicale come solo la lingua franca del mondo sa essere, si viene a creare un netto strappo con la violenza che sottende l’intero film e il senso di oppressione delle tracce originali di Carter Burwell. Eppure tale strappo è voluto: è infatti un’operazione di ossimoro che viene sovente utilizzata dai fratelli Cohen, cui Martin McDonagh deve moltissimo, e da registi asiatici come Park Chan-Wook.
The gems drop away.
When true hearts lie withered,
And fond ones are flown,
Oh! who would inhabit
This bleak world alone?
My Dear Anne riprende e rallenta il tema principale facendo ampio uso di archi e fiati, rappresentazione della defunta figlia della protagonista, ectoplasma che permea, col suo silenzio ma la sua costante presenza, tutto il piccolo mondo che si è venuto a creare ad Ebbing.
Walk Away Renee, una delle migliori canzoni di tutti i tempi secondo Billboard, fornisce infine quella sensazione di americanità che riporta entro confini ben precisi tutta la storia narrata. Nella cover dei Four Tops del 1967, fedele all’originale di Michael Brown per i Left Banke, felici voci si avvicendano a narrare la storia di Renee, una ragazza che voleva seguire la band ma che Tom Flynn, bassista perdutamente innamorato, temeva avrebbe potuto ledere la sua capacità compositiva.
Un vago baluginare di speranza si ha nella ballata al pianoforte Billboards are Back, che segue gli stessi accordi del tema principale, costruendovi sopra però dei semplicissimi arpeggi, quanto estremamente efficaci, nello stile di Carter Burwell.
Riscivoliamo nel buio dell’oblio, nella strada scura ai margini della foresta dove quella ragazza è stata uccisa, ascoltando gli archi e la struggente chitarra di Collecting the Samples. Ancora più in profondità, nella follia, si scende con Sorry Welby: un pianoforte oscuro che piange, ed archi che gridano. Non c’è luce qui. Countermove, traccia che accompagna il finale del film, reinventa il tema principale tramite dei fiati, ed un maggior quantitativo di strumenti, andando a creare un’elegia universale per tutto ciò che è perduto, che non può essere riconquistato. Per ciò che ci è stato strappato, e per noi, che siamo rimasti qui, a ricomporre i pezzi. A cercare di una spiegazione, un perché, un responsabile. In una parola: la pace. Il finale della colonna sonora è affidato a Never Give Up Hope, in cui i due protagonisti, Mildred e Jason, decidono di non condannare le proprie vite compiendo del male.
I titoli di coda sono accompagnati da una riproposizione, stavolta al femminile, quasi fosse Angela a cantare dall’aldilà. Buckin Stallion Blues diviene un gospel nell’intepretazione di Amy Annelle:
Pretty songs and pretty places
Places that I’ve never seen
Pretty songs and pretty faces
Tell me what their laughter means
Some look like they’ll cry forever
Tell me what their laughter means.
La musica di Carter Burwell è semplice quanto efficace, con una capacità compositiva pari a quella di Clint Mansell, nell’accostare pochi, ben calibrati strumenti. Non è più tempo di eccessi barocchi, di grandi orchestrazioni, di esplosioni. Basta scegliere gli accordi giusti. Carter Burwell ha raccontato la sua visione di Tre Manifesti ad Ebbing, Missouri, tramite le emozioni di Mildred, in un’introspezione così profonda che pare che il personaggio di Frances McDormand sia una persona reale, che potrebbe spuntare, gridando improperi, da dietro l’album. Ma anche con un cuore colmo di dolore, ed in cerca di pace.
Soundtrack candidata all’Oscar, forse avrebbe meritato quantomeno un ex aequo con l’altrettanto eccellente colonna sonora di The Shape of Water. Ed intanto noi ci domandiamo dove siano Mildred e Jason ora.
Giulia Della Pelle

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