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Nosound e Vincent Cavanagh a Roma: live report e photogallery

by InsideMusic
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Serata di ritorno a casa il 28 ottobre per i Nosound, band rock italiana guidata dal londinese d’adozione Giancarlo Erra, che, per l’occasione, è accompagnato da Vincent Cavanagh degli Anathema, per la presentazione del nuovo lavoro, Allow Yourself.

Il Wishlist è un locale raccolto, intimo, che ben si presta alla musica raffinata e riflessiva della band; immerso nel quartiere di San Lorenzo, quello della movida romana tanto decantata e recentemente alla ribalta delle cronache, è un frammento di Londra trapiantato nella capitale italiana. Il tempo di una birra – rigorosamente doppio malto, ambrata, italiana, questa – e sale sul palco Unalei, al secolo Federico Sanna, un altro expat, anche se solo dal profondo sud della penisola. Abbraccia il palco con solamente una chitarra acustica, una Taylor, e la sua voce, regalandoci attimi di profondo romanticismo. I brani proposti, reinterpretati in chiave puramente minimal, raccontano di un animo gentile e raffinato, di musica da camera favolesca e sognante: fra le canzoni proposte si fa notare The Little Matchgirl, la piccola fiammiferaia. La strazianta fiaba nordeuropea diviene così un candido racconto invernale, echi di fiocchi di neve su tetti spioventi, e una strana nostalgia che attanaglia i cuori: fernweh, dicono i tedeschi. Unalei chiude con Anarada, un brano folkeggiante che è un’ode a tutto il Sud Italiano, terra bellissima e negletta: una creatura, una fata maligna, il ricordo di una ninfa pagana.

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Sono oramai le ventitrè, tempo di un ultimo Jagermeister e salgono sul palco i Nosound al completo: Giancarlo Erra a chitarra e voce, Paolo Vignarolo a chitarra acustica e elettrica, Marco Berni alle tastiere e backing vocals, Orazio Fabbri al basso e Ciro Iavarone alla batteria. Il pubblico, che nel mentre è andato aumentando, si distribuisce nel piccolo locale, la cui ottima acustica rende la raffinata musica dei Nosound godibile, discernibile in ogni suo strumento, e perfettamente mixata. Si inizia con This Night, brano dal recentissimo Allow Yourself, un manifesto del mutato gusto musicale della band: dal progressive, sebbene mascherato, ad influenze post rock malinconiche ed emozionanti. Pad atmosferici ed effetti elettronici la fanno da padrone nel brano seguente, Shelter, singolo da Allow Yourself: il sound estremamente minimal in studio viene qui arricchito dalla presenza della puntualissima batteria di Iavarone. Shelter, un brano che è epigrafe a tutto ciò che stasera rappresenta: luci soffuse, un piccolo mondo distante anni luce dai tram, dal traffico, dalla malavita. Un luogo sicuro.

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Si prosegue con la hit estratta da Allow Yourself, Don’t you dare. Brano soft rock dall’accompagnamento incessante, viene subito riconosciuto dal pubblico: c’è chi si abbraccia. Facciamo un salto indietro, e i Nosound ci propongono un piccolo throwback: Evil Smile, tratta da Scintilla, album del 2016. E personalmente fra i preferiti della scrivente. Il sound ricco, anche se già post-rockeggiante, riempie il Wishlist: Giancarlo Erra canta con passione – non così espressa nella versione studio – le strazianti liriche del brano, di relazioni perdute e di affetti traditi:

I’ll let the fire burn my hopes

I’ll feed my ego until I choke

I’ll leave the hate exploding outside

I’ll laugh in the end at your evil smile

Torniamo ancora più indietro, al 2008, con un brano da Lightdark, l’atmosferico Places Remained. Grandissimo lavoro ritmico di chitarrista e bassista, nonché enorme cura per lebacking vocals. C’è tempo anche per una più classica ballata, puramente cantautoriale, che abbraccia così anche Afterthoughts, album del 2013: la bellissima, guitar driven, Wherever you Are. Chiunque, in quella stanza, aveva qualcuno a cui pensare: qualcuno che vorremmo ancora nella nostra vita, ma che non c’è più. Qualcuno con cui, forse, avremmo voluto condividere quella serata, una birra, un minuscolo ritiro dal mondo. Strumenti e arpeggi aumentano gradualmente nel brano, così come il coinvolgimento emotivo: il crescendo finale, marchio di fabbrica dei Nosound, è affidato alle tastiere, sempre più sincopate, e alla battieria, in voluto controtempo. Si prosegue con Afterthoughts, con I Miss The Ground, tornando infine a Lightdark con la suite Kites. Quasi dieci minuti di echi distanti, di archi, di sussurri; un brano che narra di ricordi passati, di fiori appassiti, di futuri mai realizzati, di abiti buttati sul letto; di treni perduti. Una grande tristezza mi attanaglia, ma fortunatamente passiamo a Saviour, brano del più ottimista e propositivo Allow Yourself: l’amore può ancora esistere. Ci lanciamo in A Sense of Loss, del 2009, un sentimento di perdita, indefinito, dai contorni incorenti e fumosi eppure così concreti con Some Warmth into This Chill. Ed è un brano poderoso, imponente, un ritratto impietoso di una relazione sbagliata: intensissimo, utilizza sonorità sognanti per descrivere la realtà più cruda. Dopo cotanta abbondanza sonora, torniamo a Allow Yourself, con la ballata My Drug, in cui il vocalist si lancia in una delle sue più belle interpretazioni vocali, per sentimento e per tecnica. Sullo stesso tono si mantiene Growing in Me, altro brano noto al pubblico e tratto dall’ultimo album: fra i meno minimal dell’album, fonde elementi elettronici e esplosioni strumentali di grande impatto emotivo.

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L’angosciante senso di vuoto che ha trasudato da Some Warmth into This Chill ci accoglie di nuovo con Fading Silently. La musica è lì, quasi tangibile, le anime che la ascoltano, i cuori direttamente connessi all’apparato uditivo, pure. E Fading Silently è una delizia per esso, per i villi delle cellule ciliate e per i felicissimi neuroni afferenti. Se si trascura il lato emotivo del brano, certo; se si cerca di non pensare a tutte le cose perdute, alle lettere non spedite, ai “ti amo” non detti, alle lezioni di pianoforte congedate con uno sbuffo infastidito.

Ed arriva, a tre brani dalla fine, il momento di Vincent Cavanagh. Ah, gli Anathema: Natural Disaster occupa ancora un posto d’onore nello scaffale, e troppo poco spesso è estratto dal suo vestito rosso sangue ed ascoltato col giusto spirito. Ed Endless ways, dal recente The Optimist, ancora non ha finito di far versare il giusto quantitativo di lacrime. Sale Vincent, e Giancarlo Erra introduce il prossimo brano: In Celebration of Life, dedicata ad un fan di entrambe le band venuto purtroppo a mancare prematuramente. Brano da Scintilla, si trasforma in un duetto memorabile, sia dal punto di vista tecnico – i controcanti dei due vocalist sono impeccabili – che emotivo.

Proseguiamo, e siamo quasi alla fine, con She, da Afterthoughts, che assume, con questa line up, una nuova luce: più vitale, concreta, meno eterea; la naturale evoluzione del sound di Erra & co. Si conclude come si era iniziato: con un brano da Allow Yourself, Weights. Il post rock più raffinato, più godibile: un brano da ascoltare assieme a chi si ama. E che ami la buona musica, sia chiaro: che sappia apprezzare i delicatissimi tocchi di percussioni spazzolate, ed i cambi di ritmo come meta-linguaggio.

Siamo incredibilmente al termine di questa emozionante serata. E avviene una grande sorpresa: partono gli accordi di un brano arcinoto, a tutti. Comfortably Numb, cantata sia da Erra che da Cavanagh, e magistrale interpretata da tutti i Nosound. Un epico finale per una serata che ha saputo regalare tanto a chi è in grado di coglierlo: che ha saputo rappresentare al massimo i talenti di tutti coloro che hanno calcato il palco.

Concludiamo dunque con l’ultima birra della serata, mentre nella grande metropoli là fuori i tram passano ancora ma i pub si svuotano; gatti randagi attraversano la coda dell’occhio e il GRA è un fiume nero in cui passano ben pochi pesci di metallo. Bentornati Nosound, in questa città dolente, e grazie di averci fornito un riparo da essa.

Ph: Giusy Chiumenti

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