Raro, come la neve caduta a Roma questo inverno, che sembra aver aiutato l’ispirato Leo Pari nella composizione di Hotel Califano uscito il 18 maggio per la nuova etichetta Foolica.
Un disco che arriva dopo la trilogia di album “Sirèna, Rèsina e Spazio”, i primi due più cantautorali e l’ultimo più elettronico, che – sebbene questo trio nascesse già nell’immaginario dell’autore come un progetto senza una prosecuzione – aveva già tracciato la strada per questo nuovo giro di boa artistico di Leo.
“E poi arriverà la primavera e questo ghiaccio si scioglierà” (Una canzone per), “”Roma – Milano, solo noi due, l’autostrada e la neve”(Montepulciano – in collaborazione con Paradiso), due frasi che riportano subito la mente allo scorso febbraio, quando questo normalissimo fenomeno atmosferico ha paralizzato una città intera per giorni, considerato che l’album ha visto la luce soltanto tre mesi dopo, potremmo incoronare Pari sul più alto gradino dell’olimpo degli autori prolifici (per sua stessa ammissione durante una chiacchierata con noi). Del resto un artista impegnato su più progetti (tastierista dei Thegiornalisti, frontman e mente dei Lato B, produttore artistico di molti autori) con all’attivo oltre cinquecento concerti, deve per forza macinare in fretta idee e pensieri.
Roma dicevamo, una delle parole chiave dell’album, così come “giovani”, “sesso”, “social”. Tre parole quest’ultime che potrebbero lasciar intravedere una crisi di mezza età ad un ascolto superficiale del disco ma soprattutto dell’autore. Laureato in antropologia, la tendenza all’analisi psicologica e fisiologica di una generazione 2.0, apparentemente lontana dalle anagrafe dell’ideatore di tale concept delle mille sfaccettature dei millennials, sembra un’attitudine naturale. É un profilo generazionale molto usa e getta quello tracciato da Leo in queste dodici canzoni, figlie di una insoddisfazione a largo raggio, la cui risposta immediata è nella frenesia del tutto e subito, perché “del doman non v’è certezza”, direbbero i saggi antichi.
Insomma crisi di mezza età si, crisi di mezza età no? Io opterei per la seconda, condurre una adolescenza fuori dai social non significa condannarne l’uso, è l’adattamento al cambiamento dei tempi – quello Darwiniano – a conservare l’essere umano, o l’artista in questo caso.
Sciolto il dubbio fra anagrafe e contenuto testuale facciamo un altro passo indietro, quello in cui ci trasporta il sound, chiudiamo gli occhi e ci ritroviamo subito calati nella fine degli anni settanta, anni di diffusione del pop e origine della disco-italy, con ambienti ricchi di sintetizzatori e drum machine, forse con più autotune dell’epoca. Una dicotomia insomma tra sound e testi, che risuonano in una amalgama ben miscelata, come un cocktail costituito da ingredienti che apparentemente poco si sposano fra loro e invece funzionano così bene da rendere il protagonista di “Chimica” (in featuring con Lemandorle), un “Torquato “Tasso – alcolico, in un appartamento al Vomero”. Un disco che fa ballare, come se fosse sempre un “Venerdì”, in fila nei bagni di un locale, ad ammirare la più bella del jet set urbano mentre scorre il brano della vita. Una generazione di “Giovani Playboy”, quelli che trovano come soluzione all’incertezza dei nostri giorni – post crisi mondiale del 2008 – la formazione di “coppie da uno per Non litigare mai più e non spezzare così il cuore a nessuno”, così evitare di dover “Dire ti amo anche se non è vero”.
È l’amore 2.0 il vero protagonista di questi 33 minuti di musica, nelle sue mille forme, perduto, agognato, rincorso, duraturo, che profuma dell’Aroma di caffè, o rapidissimo, come i 18 secondi del quinto brano in cui il messaggio è diretto e senza giri di parole, “L’amore è per pochi, il sesso per tutti”. Le atmosfere sono spaziali e fluorescenti come il gin tonic che nomina nella successiva Freshdance
Ma la rottura col passato non è mai così netta, se per 18 secondi ci ha riportati nello “Spazio”, dando continuità al suo precedente lavoro, in “Hotel Califano” Leo rivive le sue origini rap (da rivedere la sua performance in “Lettera al futuro”) in un dualismo con un acid house di sottofondo alle sue barre, un “flow cantautorale”, potrebbe essere la nascita di un nuovo stile, in questo marasma di trap ovunque.
Un disco ballabile, apparentemente leggero, chè leggerezza non è superficialità, uno sguardo completo su una generazione figlia dei suoi tempi, dell’avvento delle tecnologie e del cambiamento socio- culturale. Se è una generazione alla deriva oppure in progresso Leo non lo svela, da buon cronista dell’amore il suo ruolo è narrare, senza giudicare. E pare esserci riuscito.
A cura di Fabiana Criscuolo

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