Diamo avvio alla prima puntata della nuova rubrica “Gioved-INDIE”, una rubrica che nasce allo scopo di sviscerare l’animo indie, e pungolarlo nelle sue insidie, nelle sue certezze e nelle basi che crollano quando le logiche del mercato e del mainstream hanno la meglio.
Questa rubrica ad ogni uscita interrogherà un artista, e sviscererà con egli il suo animo indie o la sua vicinanza al pop.
Ma perchè di giovedì? Riuscite a pensare ad un giorno più indipendente della settimana? E’ un giorno in cui il week end ancora non è vicinissimo ma i tre giorni precedenti di lavoro hanno già dato i propri frutti. Insomma un giorno in cui la propria indipendenza sta nello scegliere se essere “rock” e sfidare l’ennesimo giorno successivo di lavoro o essere “lenti” e lasciarsi impigrire dal “letto-divano-bagno-letto-jessica fletcher in tv”, citando una band della suddetta categoria.
Ad introdurre questa rubrica non può che essere la domanda: “ma che cosa è l’Indie?” È un genere musicale, un fenomeno di appartenenza collettivo o semplicemente una nicchia che diventa trendy?
Una risposta univoca non l’abbiamo, ma sappiamo dal nostro punto di vista cosa significa, e abbiamo voluto chiederlo anche a Pier Cortese cosa significa per lui che di questa scena musicale ne è capostipite e attento attore.
Ma torniamo al genere, ci siamo chiesti l’indie cosa sia e perchè è così tanto discusso negli ultimi anni, che piaccia o no è un genere che sta dividendo in due l’opinione pubblica: c’è chi lo segue e lo difende e c’è chi lo rinnega relegando ad un fenomeno da adolescenti ossessionati. Sta di fatto che l’indie ha dato vita al fenomeno degli haters da tastiera che sono sempre lì, pronti a dare addosso al proprio beniamino quand’egli raggiunge il successo.
Insomma date queste premesse possiamo concludere che l’indie sia una fenomenologia di un gruppo di ascoltatori che mirano l’ascolto della musica più alla ricerca del limite della bravura degli strumenti o alla filosofia impegnata dei testi che al loro gusto musicale vero e proprio. E’ una sorta di “masturbazione musicale”. Non nasce come un movimento inclusivo ma come una nicchia di “artigianato musicale” che fa storcere il naso al mainstream, che poi è l’obbiettivo di ogni artista riuscire a ricoprire l’intera scena italiana. Ma se aumenta la fan-base che succede? Ci si piega davvero alle logiche delle major a discapito della qualità musicale o c’è solo un aumento di risorse per fare musica sempre migliore?
Insomma quella del “più persone mi seguono, più introiti ho dalla mia arte, più strumentazioni posso permettermi per farne sempre di migliore” è una supercazzola inventata dagli artisti per tenersi buoni i fan storici avvezzi alla crescita professionale dei loro beniamini, o una realtà?
Capire ciò sarà il nostro compito in questa rubrica.
Ad aprire le danze tocca a Pier Cortese, alla vigilia del suo debutto di stasera al Mons di Roma con il suo spettacolo “Come Siamo Arrivati Fin Quì”.
Pier partiamo subito con una domanda che introduce la nostra rubrica Gioved-INDIE: cos’è indie per te? (Non necessariamente in musica).
Indie è un modo di pensare, è un pensiero. Se intendi il movimento musicale è solo un modo diverso di chiamare il pop. Nei contenuti non è affatto arrivata una filosofia indie, nella maniera si. Sai cosa succede nella realtà? Succede che in Italia c’è questa tendenza al conservatorismo, la gente non riesce ad essere felice per il successo dei propri artisti di riferimento, è come un volerli annicchiare a sè, come se diventando famosi anche ai loro amici oltre che a sè stessi, gli artisti perdessero la loro vicinanza ad essi, della serie “prima ti conoscevo solo io ed eri nel mio immaginario l’uomo con cui prendere una birra post concerto, adesso ti vedo in TV e fra noi si è inserito un muro di separazione”.
Dobbiamo essere realisti però, i tempi adesso sono cambiati, è cambiato anche l’atteggiamento delle major, i giovani che si affacciano adesso alla musica e vengono subito messi sotto contratto dalle major hanno da esse molta più libertà di pensiero e di arte, c’è stata una notevole apertura “liberalitaria” anche da parte della grande distribuzione rispetto a qualche decennio fa.
Potrebbe sembrare un paradosso definirti “indipendente” tu che sei sotto contratto con una major… “Indipendente nel genere più che nella distribuzione”, come definizione, pensi possa funzionare?
Attualmente penso che la vera indipendenza sia più di pensiero e di coerenza verso le proprie passioni e la loro arte, più che nella etichettatura di questa. Il vero essere “indie” è, attualmente, il “non essere indie”.
Parlando di Indie, hai partecipato alla kermesse più pop della scena nostrana: Sanremo, nel 2007, senza snaturare il tuo stile. Pensi che tutta questa necessità di mettere delle etichette ai generi sia eccessiva?
Ma no, quello è un modo per etichettare per pigrizia di voi giornalisti la diversità dei generi musicali. Riconosco la necessità di affiancare un genere ai generi che lo hanno preceduto, è un modo anche per rendere universale pure un linguaggio musicale fra gli operatori della musica e i suoi fruitori. Oggi però la scaffalatura è molto più varia, il sottobosco dei vari grandi generi musicali si fa sempre più popolosa.
Ad un certo punto della tua carriera, e ci avviciniamo così a quello che stai per portare in scena attualmente, hai fondato insieme a Roberto Angelini un duo di “Riscoperta”, i Discoverland appunto, prodotti da Leo Pari e dalla sua etichetta indipendente Gas Vintage Records, in cui c’era la sperimentazione sonora come nuovo punto di vista di opere importanti del passato. Credi che un artista, come ad esempio Rino Gaetano (da cui hai coverizzato Sfiorivano le viole), si sarebbe potuto sentire a suo agio nell’essere classificato come artista indie, o avrebbe fatto di tutto per sfuggire a tale collocazione?
Tante volte quello da cui sfuggi tu non sfuggono gli altri. Penso che qualcuno lo avrebbe necessariamente catalogato a Rino, ma lui non avrebbe accettato ciò, era un uomo libero, e la sua discografia ne è la chiara prova.
Insieme agli stessi due e altri artisti illustri come Niccolò Fabi di cui sei stato musicista e Roy Paci, fai parte del “Collettivo dal pane”, nel cui album la prima traccia è tua. Quanto il confronto con i colleghi aiuta la tua arte pur mantenendo la sua autenticità?
Il confronto ti riempie sempre, avere tanti amici che nel tempo ho coltivato sia musicalmente che personalmente è stato utilissimo. Se pensi che le maggiori rivoluzioni sono nate dal paradosso, sono sempre andato alla ricerca di questo, penso a Battisti che amava le canzoni dei cori di voci nere ma lui aveva una voce bianca ed ha creato capolavori ispirandosi a quelle e sfruttando questo paradosso.
Il mescolamento delle idee e delle conoscenze è fondamentale in questo lavoro, così come lo è quello delle coscienze e delle sensibilità degli artisti con cui ti relazioni.
Parte stasera, gioved-INDIE 19 ottobre, dal MONS di Roma il tuo nuovo progetto “Come siamo arrivati fin quì”, che attraversa quattro decenni in quattro appuntamenti per l’appunto. A dare il via ci penseranno gli anni ’60, quanta linfa di indipendenza immagini in quel decennio?
Innanzitutto vorrei dire qualcosa in più su questo progetto. Mi sono molto divertito nel realizzarlo e metterlo a punto proprio perchè sono un amante delle biografie, quindi a quel punto conoscendo la biografia e il contesto storico culturale dell’artista è chiaro che il brano ritrova una collocazione molto più appropriata.
Per quanto riguarda l’indipendenza negli anni ’60 bisogna ricordare che in quegli anni non c’erano le etichette, c’era una purezza di fondo, la necessità di raccontarsi ed un entourage di persone che lavorava affinchè questo funzionasse meglio. L’autore scriveva le canzoni, il cantante le interpretava, il fonico pensava alle basi e tutto questo insieme produceva capolavori. Attualmente invece il cantante è spesso autore, musicista, produttore e promotore delle sue stesse opere.
Tra questi quattro, quale è il decennio più INDIE?
Beh gli anni ’70 sono un apocalisse di indipendenza. La musica in quel decennio se non ha detto tutto ci è andata vicina. Sia la produzione che chi ascoltava la musica erano un tutt’uno. La musica era molto libera. Negli anni ’80 invece c’era molto più mercato discografico, impicci e marchette. Negli anni ’70 anche i produttori erano rock and roll.

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