Vladimir Komarov, cosmonauta russo della sonda Soyuz One, si ritrova bloccato in una vera e propria trappola spaziale. La sonda, danneggiata già al suo lancio e rimasta sguarnita di pannelli solari necessari all’alimentazione della navicella, è in balia dell’orbita terrestre.
Solitario, sospeso nel nulla e in orbita intorno al grande globo terraqueo, Komarov tenta di attivare manualmente i retrorazzi per tentare di sfuggire all’ipnotica orbita rapitrice della Syouz One. Durante l’atterraggio il paracadute, a causa del precedente malfunionamento, si apre solo parzialmente, facendo atterrare la piccola sonda sul suolo russo alla velocità di quaranta metri al secondo. Per Komarov non vi è speranza. La morte lo stringe tra le sue braccia precocemente come conseguenza del suo tentativo di rendere onore alla sua madre patria Russia.
Proprio così, tra le sonorità rarefatte e sospese della track Soyuz One si apre il nuovo lavoro dei Norvegesi Gazpacho, intitolato proprio “Soyuz” e rilasciato sotto l’egida della K-scope il 18 maggio 2018.
Con questo nuovo lavoro i Gazpacho si cimentano nella narrazione “del momento”. Momenti particolari, dal grande impatto e impressi nella mente dell’umanità (o anche solo nell’intimità dei singoli), incastonati in teche di pietre preziose resistenti all’andamento del tempo e residenti nella memoria di ciascuno di noi. Momenti incredibili proprio come quelli che hanno costituito la tragedia di Komarov e della sonda Soyuz. Momenti impossibili da dimenticare che costituiscono l’epifania di una vita, un “qui e ora” ineluttabile, per citare Grahm Smith e il suo Waterland.
Così, tra una commistione costituita da stilemi folcloristicamente nordici e ventagliate di musica ambientale e minimale dal chiaro taglio Pop/Progressive si costituisce il memoriale dell’umanità.
Proprio le sonorità rappresentano ottimamente l’idea di un gruppo di scene di vita, di “qui e ora” incastonati nell’ambra.
Si parte dalla lenta e sospesa Soyuz One, canzone dal taglio atmosferico e minimale che vede, nella conclusione, l’intromissione di un’energica bordata di chitarre elettriche (a conclusione di un climax ben costruito) seguite poi da una sezione di archi dal gusto schiettamente Folk e medievaleggiante. Segue una tonalità sonora molto simile Exit Suite (candidata tra l’altro nella categoria “Best Video” ai Prog Awards), pezzo costituito da un leggiadro accompagnamento di pianoforte che si fa spazio tra lievi intelaiature di archi, ritmiche appena accennate e una voce narrante una lirica criptica e melanconica.
Non vi è solo malinconia, però, in questa ennesima fatica della navigata band Norvegese. Possiamo di fatto anche osservare pezzi ben più movimentati come Hypomania (che sembra quasi assumere le sembianze di una traccia dei primi Muse di Showbiz) o Emperor Bespoke, dove una raffinata intelaiatura di archi e mandolini ci regala una traccia dal forte sapore folkloristico, un pezzo fiabesco e drammatico tipico dei Gazpacho di Demons e Night dove non mancano, però, vertiginose aperture strumentali fatte di graffianti chitarre e muri orchestrali. Emperor Bespoke, nella sua natura ricca, dinamica e piena di spunti si presenta come uno dei momenti di punta dell’album.
In Sky Burial troviamo un pezzo dal sound assolutamente particolare. Condotto da un pianoforte costante ed estremamente ansiogeno si sviluppa in un lungo climax ascendente che risolve poi la tensione in un esplosione dal taglio moderato.
Soyuz Out è, invece, senza dubbio la migliore proposta che i Gazzpacho ci offrono in questo ultimo album. Un pezzo che raccoglie le elettroniche minimali e cupe dello Steven Wilson solista, estremamente dinamico e variegato. Si apre con una chiara ripresa alla traccia opener, richiamata da riverberati piani elettrici e dal medesimo pattern ritmico. L’ingresso violento poi della sezione ritmica al completo costruisce un’architettura dispara dove poi voci e tastiere si intarsiano per poi portare a un refrain aperto e melodico. Nei suoi tredici minuti di durata Soyouz Out si presenta come un pezzo variegato dove possiamo trovare aperture melodiche tipiche della band, atmosfere opprimenti, violente e compatte bordate di chitarra e, soprattutto, citazioni su citazioni a un numero estremamente vasto di generi e stilemi.
Soyuz, per concludere, si presenta come un lavoro di ottimo livello ma non eccelso. Coeso, nel suo complesso, estremamente vicino alle sonorità a cui la band Norvegese ci ha abituato (forse anche troppo). Una vicinanza forte ma non stucchevole, che non lascia un senso di “già sentito”. Sicuramente, Soyuz, è un album assolutamente ispirato e dotato di una personalità propria. Coerente con il suo concept costruisce ottimamente il mezzo che ci porterà attraverso la narrazione di ogni canzone in un viaggio ricco di teatralità, drammaticità e malinconia. Va detto, comunque, che da una band ormai così navigata e competente è lecito aspettarsi di più, specialmente in quanto a innovazione del proprio stile e refresh delle idee.
Nonostante ciò i Gazpacho si confermano come una delle migliori proposte nell’ambito Prog e Art Rock, imperdibili per ogni amante del genere.
Voto – 7
Lorenzo Natali

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