In occasione del Rock in Roma, Myles Kennedy, vocalist degli Alter Bridge e voce ufficiale di Slash, ha infuocato il Teatro Antico col tour promozionale del suo album solista Year of the Tiger.
Negli scavi di Ostia antica risiede una ben stabilita colonia felina. Gatti rossi, bianchi, neri, tricolore, si aggirano per le rovine dell’antico foro, degli antichi magazzini del porto, dei templi; si arrampicano sui pilastri rastremati dal tempo per godere appieno del proprio territorio, come silenziose vedette.
E pochi gatti eravamo anche ieri al concerto di Myles Kennedy, tenutosi nell’antico teatro romano di Ostia, fra gli edifici più antichi della città ancora in piedi: costruito da Agrippa, rimaneggiato sotto Adriano, e divenuto fortezza difensiva nel V secolo, ultimo baluardo di una Ostia morente sotto i colpi dell’invasioni dei Goti.
Le antiche pietre scottano ancora del calore del sole inclemente di Luglio, che ha infuocato le rovine fin dalla loro riscoperta ad inizio ‘800, ed i pochi spettatori si distribuiscono fra le gradinate e la platea, in cui sorge un palco che si getta direttamente sul pubblico, senza divisioni. Infatti l’atmosfera è intima, come fra amici.
Myles ed i suoi collaboratori, Zia Uddin alla batteria e Tim Tournier, manager ed ottimo bassista, salgono sul palco. Chi siede sulle gradinate può vederli incedere lentamente, ma senza l’arroganza delle grandi star: musicisti che conoscono la propria arte, ma sanno che rimanere umani ed umili è indispensabile per essere apprezzati da questo pubblico. Perché questo pubblico è fatto di pochi appassionati, di uomini e donne che amano la splendida voce di Myles e ne apprezzano la sensibilità.
Myles imbraccia la chitarra acustica e parte Devil on the Wall, tratta dal suo primo album solista, Year of the Tiger. Per chi non lo sapesse, si tratta di un concept album che tratta della vita del cantautore a metà fra il blues, il country ed il grunge scritto, finalmente, interamente da Kennedy, libero dagli Alter Bridge e dall’ingombrante presenza di Mark Tremonti e libero anche da Slash, che gli ha però regalato un gigantesco palcoscenico con cui confrontarsi, ma avendo imparato il country dai musicisti che facevano parte dei Mayfield Four, fra cui il suo attuale batterista, Zia Uddin. È un album doloroso, dal sound vario ma unito dal modo di cantare, intimo e sentito, di Myles stesso.
Fra i brani più belli proprio da Year of The Tiger c’è The Great Beyond, brano elettrico e metalleggiante, che rappresenta il secondo in scaletta. Evocativo, magnetico, parla di vita vissuta: il momento del trapasso del padre. Splendido, nelle colonne romane che incorniciano il sole calante.
Saltiamo a Ghost of Shangri-la, e la mezzafalce della Luna sale in cielo assieme a Venere. Kennedy cambia continuamente chitarre, saltando da acustiche ad elettriche, mentre Zia Uddin si dà un gran da fare fra percussioni e batteria.
And these children at my shoulder
They don’t see the tears I cry
Still fighting to get over
The ghost of Shangri La
È il momento della presentazione della band, che, appunto, Myles tratta come vecchi amici: c’è spazio per gli aneddoti con l’amico di infanzia Zia Uddin (una volta che si sono ubriacati insieme da giovani, e l’uno ha cercato di affogare l’altro) e c’è spazio per i ringraziamenti per il manager e bassista Tom. L’atmosfera è rilassata, mentre le prime stelle appaiono in cielo.
Haunted by Design viene suonata interamente da Myles alla chitarra, un brano country che si adatta meravigliosamente al suo stile cantautoriale. Segue poi un brano rubato da Slash ft. Myles Kennedy & The Conspirators: la bellissima Standing in the Sun, che suona mentre gli ultimi stralci di raggi solari muoiono oltre le colonne. Rock classico in pieno stile Slash, ma con la voce di Myles Kennedy, ed in questo caso, anche la chitarra. Un tuffo negli anni ’80 in mezzo alle rovine.
Si continua con le cover, ed è il turno di Addicted to Pain, classico degli Alter Bridge, ma in versione folk: il brano viene deprivato del metal, e diviene una ballata lenta, in cui il testo dolente diviene protagonista. Le colonne corinzie della facciata del teatro si tingono di rosso, Myles si toglie la camicia ed inizia la seconda parte del concerto. Si torna al repertorio solista: Blind Faith, chitarra acustica arpeggiata per un sound da Johnny Cash; il brano è immensamente sentito, l’intepretazione di Kennedy è magistrale, ad occhi chiusi, sotto le stelle.
Nel tour di Year of the Tiger c’è spazio per una cover d’eccellenza: The Trooper. Myles diviene Bruce Dickinson (cui, ammettiamolo, col tempo ha sempre più finito con l’assomigliare vocalmente) ed interpreta il classico degli Iron Maiden con estrema bravura, in una versione acustica assolutamente inedita. L’indimenticabile intro delle chitarre elettriche magistralmente intrecciate dei Maiden diviene un unico lungo assolo, ed il pubblico ne viene trascinato.
Ancora acustica è la delicata e romantica White Flag, tratta dal repertorio dei Mayfield Four; le coppie si baciano nel refrain in cui Myles si destreggia col falsetto, mostrando tutte le sue impareggiabili doti vocali. Prosegue sullo stesso stile Song Bird, brano da Year of The Tiger, romantica ballata country in cui Zia si dà da fare con i bonghi.
When the songbird sings tonight
I hope you remember
Love eternal never dies
It will go on forever
C’è tanto per emozionarsi, mentre quell’uomo canta del proprio cuore e della propria vita sul palco la summa di una variegata carriera; un artista che è rimasto umile, perché finita Song Bird scherza sul fatto che talvolta dimentica il testo, ed, ancora, nonostante l’esperienza si ritrova a necessitare del leggìo sul palco.
Direttamente dagli Alter Bridge c’è il live acustico di Wonderful Life & Watch over you, due delicatissime ballate rock: la scrivente deve ammettere che qualche lacrima è sfuggita, perché il potere della voce di Myles Kennedy è proprio questo. Rendere universale qualcosa di personale, ed evocare ricordi lontani che si pensavano dimenticati. Viene da pensare che se un angelo del grunge esistesse avrebbe la voce di Myles Kennedy.
Circa sette minuti di pura emozione e ci si rituffa nei classici del rock con Traveling Riverside Blues, brano da Coda dei Led Zeppelin del lontano 1982: va inoltre ricordato che Myles possiede come principali ispirazioni, oltre allo stile vocale di Chris Cornell dai Soundgarden e Bruce Dickinson, proprio i Led Zeppelin, per i quali ebbe la chanche di essere il nuovo vocalist. Sfortunatamente, da parte di Page e soci, non se ne fece più nulla.
Segue una versione ridotta ma ugualmente rock di Bad Rain di Slash, brano del 2012 da Apocalyptic Love, mentre i pilastri si tingono di blu, che diviene subito World on Fire, creando un medley tutto dedicato al mitico chitarrista dei Guns n’ Roses: I’m a beautiful disaster, take me anywhere you choose! Energica e brillante, fa da contraltare al lungo momento romantico e melanconico di Wonderful Life & Watch over you.
Le colonne riprendono il naturale rosso di inizio concerto per il gran finale: Year of the Tiger. Un pezzo fortemente blues, fatto di tamburello e lap steel guitar, una dichiarazione di amore e coerenza a se stesso; l’anno della tigre, il 1974, è infatti l’anno della scomparsa del padre. Una grande e sincera autobiografia.
L’atmosfera è così intima, così ristretta ed il pubblico è fatto di così pochi affezionati che, per l’encore, Myles e la sua band nemmeno provano ad uscire e rientrare: non c’è interruzione, non c’è pausa, e dopo Year of The Tiger c’è All Ends Well, meraviglioso brano progeggiante degli Alter Bridge riproposto qui in chiave acustica: tutti cantiamo in coro, e mi sembra di avere di nuovo vent’anni, come nel 2013, in cui uscì l’album Fortress; eppure ora c’è qualcuno a cui dedicare un brano del genere, perché non si cresce solo per diventare più cinici e disillusi, ma anche per capire chi davvero merita il nostro amore.
Ancora col refrain di All Ends Well nel cuore e nella mente, c’è il gran finale: Love Can Only Heal, il brano forse più bello di Year of The Tiger. Ed è un brano maturo, scritto da un cinquantenne, che in quell’album ha raccontato tutta la sua vita, fatta di ardue salite ed improvvise discese, di perdite e di conquiste: è da adulti che si impara a capire che l’amore se è sofferenza non è affatto amore.
Nevermind the pain
‘Cause love can only heal
If only you could trade
the dark for light it might reveal
That there’s a place inside
Don’t be afraid to feel
‘Cause love can only heal
Tutto finisce, fra gli abbracci al pubblico, fra i plettri lanciati a manciate: fra i cartelloni sul palco e fra i ringraziamenti a quei pochi appassionati che sono accorsi fra le rovine di una città morta gloriosa morta lentamente; un pubblico forse troppo scarno per il talento mostrato da Myles Kennedy sul palco, la sensiblità, la maturità artistica, la perfetta scelta della scaletta. Ma è forse un male essere in pochi ad apprezzare un artista? È forse meglio un concerto di fronte ad una folla che non conosce il nuovo album perché ricorda solo l’esordio?
Myles è probabilmente certo di no. This much I know, all ends well.
Scaletta Myles Kennedy Teatro romano di Ostia-Rock in Roma
Devil on the wall
The Great Beyond
The Ghost of Shangri-la
Haunted by Design
Standing in the Sun
Addicted to Pain
Turning Stones
Blind Faith
The Trooper
White Flag
Songbird
Wonderful life + Watch over You
Travelling Riverside Blues
Bad Rain + World on Fire
Year of the Tiger
All ends Well
Love can only heal
Alla prossima!
Giulia Della Pelle
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